Ripubblichiamo per assicurarne la massima diffusione questo articolo di Maria Monteleone de “La legge per tutti”. Facciamo notare che la ragione principale per cui non è stato disposto l’allontanamento dal genitore alienante è l’eta del ragazzo ormai adolescente, come risulta dalla sentenza.
Si veda anche sulla stessa sentenza il breve commento di www.alienazioneparentale.it e l’articolo di Margherita Corriere pubblicato da www.psicologiagiuridica.eu
Comportamento “manipolativo” di uno dei due genitori nei confronti del minore per screditare e allontanare l’altro genitore: una situazione frequente nelle ipotesi di separazione e divorzio, dove a pagare le conseguenze più gravi sono i figli minori, i quali corrono il rischio di essere affidati a terzi, magari ai servizi sociali, perché vivere con i genitore li danneggia più che aiutarli a crescere.
Fonte/Credits:Maria Monteleone su www.laleggepertutti.it
La delicatissima funzione del giudice nell’affidamento dei figli minori deve tener conto della condotta dei genitori, dei sentimenti e delle condizioni del piccolo e della complessiva situazione familiare. Con l’ausilio di psicologi e assistenti sociali, il giudice può individuare, grazie all’ascolto del minore, i casi di cosiddetta “alienazione parentale”.
È quanto avvenuto nel caso recentemente deciso dal Tribunale di Cosenza[1], in cui, in fase di divorzio dei genitori e di decisione sull’affidamento del figlio tredicenne, è emerso che questi provava un sentimento di rifiuto ingiustificato nei confronti della madre, poiché fortemente condizionato dal padre.
Cos’è l’alienazione parentale
La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (Pas – Parental Alienation Syndrome) è un disturbo psicologico disfunzionale che si manifesta nei figli minori coinvolti in contesti conflittuali di separazione e divorzio dei genitori, quando uno dei due tenti di allontanarlo dall’altro, inducendolo al rifiuto e disprezzo ingiustificato, con perdita della relazione affettiva naturale essenziale tra figlio e genitore.
Ciascun minore ha il diritto inviolabile alla bigenitorialità e cioè a mantenere e alimentare continuativamente il proprio rapporto affettivo con entrambi i genitori, a prescindere dalla disgregazione del nucleo familiare. Ecco perché, seppur vi è ancora un dibattito scientifico sulla possibilità di qualificare l’alienazione parentale come una vera e propria malattia, vi è la presa di coscienza della necessità di considerare l’effettiva situazione di “alienazione” in cui si vengono spesso a trovare minori e genitori a seguito di una separazione o un divorzio, quando i conflitti tra i partner si riverberano inevitabilmente sui più piccoli. I tribunali devono fare i conti con questa specifica ipotesi nelle decisioni di affidamento del minore.
Alienazione parentale: cosa dice la Cassazione
Una sentenza interessante sul punto è stata recentemente emessa dalla Cassazione [2] in un caso di revoca dell’affidamento condiviso del minorenne.
Secondo la Suprema Corte, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti:
- del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti;
- delle rispettive capacità di relazione affettiva;
- della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore;
In ogni caso, deve essere rispettato il principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione.
Tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rileva la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore.
Alienazione parentale: cosa deve fare il giudice
Il giudice non è chiamato ad affermare la validità o invalidità delle teorie scientifiche sulla sindrome da alienazione genitoriale; egli deve indagare sulle ragioni del rifiuto del padre/madre da parte del minore e verificare, in concreto, l’esistenza di eventuali comportamenti volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore.
Il giudice di merito, a tal fine, può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l’ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori). Tali comportamenti, qualora accertati, pregiudicherebbero il diritto del figlio alla bigenitorialità e, soprattutto, alla sua crescita equilibrata e serena.
La Cassazione ha quindi affermato il seguente principio di diritto: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una Pas (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.
Alienazione parentale: se è il padre a screditare la madre
Nel caso esaminato dal Tribunale di Cosenza, è stato accertato che il minore era fortemente condizionato dai giudizi del padre e che si era insinuata una forma di alienazione nei confronti della madre, con sintomi di ingiustificato rifiuto e disprezzo.
In particolare, il minore viveva un distacco fisico ed emotivo nei confronti della figura materna, riempito da sentimenti di rabbia ed ostilità che arrivano a coinvolgere tutto il relativo ramo parentale.
Il consulente tecnico nominato dal giudice è pervenuto alla conclusione che si fosse in presenza di un caso di “alienazione parentale molto grave“, essendo l’atteggiamento di rifiuto verso la madre imputabile ad ingerenze e manipolazioni provenienti dal padre e dal contesto familiare paterno nel quale il minore era ormai stabilmente inserito da qualche anno.
È emerso che il padre non perdeva occasione per screditare la figura materna agli occhi del figlio, con il quale aveva instaurato un rapporto “simbiotico”, in tal modo rendendosi autore di un condizionamento finalizzato all’annientamento del rapporto tra figlio e madre, relegata ad un ruolo assolutamente marginale.
L’ipotesi del condizionamento è stata avvalorata dall’inconsistenza delle ragioni addotte dal minore a giustificazione del suo rifiuto per la figura materna.
Di conseguenza, secondo il Tribunale di Cosenza, il padre, ledendo il diritto del minore alla bigenitorialità ha perso l’idoneità genitoriale, la quale, come ricordato dalla Cassazione nella pronuncia sopra riportata, si misura anche attraverso la valutazione della capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore.
La responsabilità è anche del genitore allontanato
Il ctu ha posto in risalto anche le responsabilità della madre la quale concorreva allo sviluppo del processo di alienazione parentale, mostrandosi “del tutto passiva, ambigua ed accondiscendente” ed incapace di riconquistare, con modalità assertive, la fiducia del figlio, nei confronti del quale utilizzava spesso toni di rimprovero, così rafforzando nel minore il convincimento di una madre non accogliente, ma arrabbiata.
Tale dinamica disfunzionale ha provocato una condizione di grave disagio psicologico nel minore, (del quale, peraltro, i genitori sembravano non avere consapevolezza), caratterizzato da tratti di ansia, rabbia e aggressività, difficoltà affettivo-relazionali, pensiero rigido, nonché importanti spunti paranoidi.
A chi affidare il minore in caso di alienazione parentale?
Preso atto dell’inidoneità genitoriale del genitore (alienante) che ha tentato di annullare il rapporto tra il minore e l’altro genitore, a chi va affidato il figlio?
La sentenza in commento ha escluso l’affidamento esclusivo alla madre (genitore alienato) in quanto non considerata “pronta” ad assumersi le correlate responsabilità, in ragione dei tratti caratteriali e temperamentali delineati dal ctu e della oggettiva problematicità dell’attuale dinamica relazionale con il figlio.
È stata anche esclusa la strada dell’affidamento condiviso, data l’incapacità dei genitori di gestire il conflitto personale con modalità idonee a preservare l’equilibrio psichico del figlio.
Il Tribunale ha dunque optato necessariamente per l’affidamento del minore a terzi.
In tale ipotesi occorre dare priorità a persone affettivamente vicine al minore che siano in grado di assumere la responsabilità dell’affidamento e di svolgerne i compiti mantenendo una posizione equidistante rispetto alle due figure genitoriali. Tuttavia, qualora le parti, come nel caso di specie, non sappiano indicare tali persone, la soluzione più idonea risulta quella dell’affidamento ai Servizi Sociali, fermo restando il diritto di visita e l’obbligo di mantenimento di entrambi i genitori.
[1] Trib. Cosenza, sent. n. 2044 del 18.10.2017.
[2] Cass. sent. n. 6919/2016.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
Con sentenza del (…) il Tribunale ha dichiarato la cessazione degli effetti
civili del matrimonio concordatario contratto in data (…) tra (…) e (…) dal quale è nato in data (…) il figlio (…).
Il thema decidendum è dunque a questo punto circoscritto alle questioni accessorie, inerenti, innanzitutto, l’affidamento e il collocamento del minore.
Al riguardo, la decisione del Tribunale deve necessariamente passare attraverso la decodificazione delle ragioni del categorico rifiuto che (…), da oltre tre anni, manifesta nei confronti della figura materna, rispetto alla quale vive un distacco fisico ed emotivo, riempito da sentimenti di rabbia ed ostilità che arrivano a coinvolgere tutto il relativo ramo parentale, come emerso sia in sede di ascolto da parte del giudice istruttore, sia nel corso dei colloqui con il ctu (…), nominato in corso di causa.
L’ausiliare del Tribunale, all’esito delle accurate indagini espletate, è pervenuto alla conclusione che si sia in presenza di un caso di “alienazioneparentale molto grave”, essendo l’atteggiamento di rifiuto di (…) in confronto della madre imputabile ad ingerenze e manipolazioni provenienti dal padre e dal contesto familiare paterno nel quale il minore è ormai stabilmente inserito da qualche anno.
Il (…) infatti, “molto manipolativo ed ambiguo”, non perde occasione per screditare la figura materna agli occhi del figlio, con il quale ha instaurato un rapporto “simbiotico”, in tal modo rendendosi autore di un condizionamento finalizzato all’annientamento del rapporto tra (…) e la madre, relegata ad un ruolo assolutamente marginale.
L’ipotesi del condizionamento è avvalorata dall’inconsistenza delle ragioni addotte dal minore a giustificazione del suo rifiuto per la figura materna.
Il ctu ha posto in risalto anche le responsabilità della (…) la quale concorre allo sviluppo del processo di alienazione parentale, mostrandosi “del tutto passiva, ambigua ed accondiscendente” ed incapace di riconquistare, con modalità assertive, la fiducia del figlio, nei confronti del quale utilizza spesso toni di rimprovero, così rafforzando nel minore il convincimento di una madre non accogliente, ma arrabbiata.
Tale dinamica disfunzionale ha provocato una condizione di grave disagio psicologico nel minore, del quale, peraltro, i genitori sembrano non avere consapevolezza, caratterizzato da tratti di ansia, rabbia e aggressività, difficoltà affettivo-relazionali, pensiero rigido, nonché importanti spunti paranoidi, che il ctu ha colto nelle ingiustificate manifestazioni di sospetto di (…) rispetto ad alcuni gesti della madre (quali l’acquisto, a sorpresa, di un capo di abbigliamento per lui, o la predisposizione di una stanza da destinargli nella casa di (…) alle ragioni del suo coinvolgimento nel presente procedimento (dubitando (…) che il reale motivo risieda nel desiderio della madre di recuperare il rapporto compromesso).
Le valutazioni operate dal ctu sono pienamente condivisibili.
La spiccata propensione del (…) a screditare la figura genitoriale materna si coglie in tutta la sua evidenza attraverso la diretta visione delle videoregistrazioni dei colloqui con il ctu, nel corso dei quali il ricorrente, pur professandosi in linea di principio convinto dell’importanza delle frequentazioni madre-figlio, non solo non è mai intervenuto a sostegno della ex coniuge (neanche in occasione del disegno con il quale il minore ha rappresentato in modo eclatante la visione negativa che ha della madre), ma ha sempre puntualmente colto l’occasione per sottolineare, in presenza di (…) presunte carenze della (…) (ripetutamente appellata “la signora”), rappresentata come una madre poco attenta ai bisogni del figlio e non disposta al sacrificio nell’interesse di questo, menzionando, a riscontro, anche fatti già in astratto poco significativi.
A titolo meramente esemplificativo (rinviandosi per il resto alla dettagliata relazione peritale), si evidenzia che, nel corso dei colloqui ai quali ha presenziato (…) il ricorrente ha più volte rimarcato i ritardi della madre agli appuntamenti con il minore, nonostante l’assenza di impegni lavorativi, ripetutamente sottolineata anche come indice di indisponibilità al sacrificio per il figlio, ne ha menzionato la mancata partecipazione al primo (…), ha imputato alla (…) di ignorare il percorso di studi del figlio, inopportunamente interrompendo il colloquio tra i due, ha affermato chiaramente che la resistente non è mai stata molto presente nella vita di (…) (“si è messa da parte”; “non era presente”), ricordando, tra l’altro, che quando il figlio viveva a (…) veniva spesso visto passeggiare in compagnia del nonno, anziché della madre, e si è spinto fino a manifestare apertamente sfiducia rispetto alle possibilità di recupero del rapporto madre-figlio, per mancanza del “terreno favorevole”, in tal modo giustificando l’indisponibilità del minore verso la figura materna.
Che le affermazioni circa l’essenzialità della relazione madre-figlio non rispondano ad un reale convincimento del (…) è confermato anche dalla prioritaria importanza assegnata agli (…) rispetto alle frequentazioni con la madre, che, del resto, a decorrere dall’inversione del collocamento, sono state assolutamente sporadiche e limitate ad incontri di breve durata.
In sede di comparsa conclusionale la difesa del ricorrente ha imputato al ctu di non avere verificato se le doglianze concernenti i ritardi della (…) agli appuntamenti con il figlio e le accuse di disinteresse nei confronti di questi abbiano un fondamento di verità.
La critica va disattesa.
Infatti, posto che le accuse che il (…) rivolge alla ex coniuge non traggono spunto da comportamenti di gravità tale da giustificare il radicato e ostinato rifiuto di (…) per la figura materna, ciò che rileva non è tanto, o non solo, la veridicità degli addebiti, quanto, piuttosto, il fatto che essi siano mossi anche in presenza del figlio.
E ciò è tanto più grave ove si consideri che il minore non è in grado, in ragione del rapporto simbiotico che lo lega al padre, di svincolarsi, attraverso un’autonoma rielaborazione critica, dal pensiero di questi.
L’incapacità di un approccio critico di (…) rispetto al padre è stata evidenziata anche dal consulente di parte del (…) il quale, in sede di osservazioni alla relazione del consulente d’ufficio, ha definito “molto disfunzionale”, “invischiante”, il rapporto tra questi e il figlio, in quanto caratterizzato da una “eccessiva vicinanza emotiva” che rende il minore “acritico” nei confronti del genitore. La presenza di profili di disfunzionalità nel rapporto padre-figlio era, del resto, già emersa nel corso delle indagini peritali espletate nell’ambito del procedimento ex art. 709 ter c.p.c.promosso dal (…) all’esito delle quali il ctu, aveva evidenziato la vicinanza emotiva, “quasi simbiotica”, tra (…) e il padre, propenso a rispondere in modo “indifferenziato” alle richieste del figlio (cfr. relazione datata (…).
Nella successiva relazione del (…) lo stesso ctu aveva segnalato che il (…) tendeva ad anteporre i propri impegni agli incontri madre-figlio e che non manifestava disponibilità “all’accesso psicologico nei confronti dell’altro genitore quasi a voler sminuirne la funzione stessa”.
La (…) aveva sì escluso, nella relazione del (…) che si fosse in presenza di un quadro di alienazione parentale, ma soltanto perché aveva ritenuto che il minore fosse dotato di “risorse interne” in grado di consentirgli, con un supporto specialistico, il graduale recupero del rapporto con la madre.
La validità di tale tesi non ha poi trovato riscontro nella evoluzione della vicenda, tant’è che nonostante il supporto specialistico della stessa (…) incaricata dal Tribunale di monitorare, attraverso incontri periodici, lo stato delle relazioni madre-figlio, non si è registrato alcun progresso (cfr. relazione sugli esiti del monitoraggio del (…).
Neanche può ritenersi che, come lamentato da parte ricorrente in sede di comparsa conclusionale, il ctu abbia sottovalutato i racconti del minore e le sofferenze da questi patite.
Gli episodi relativi al vissuto con la madre che (…) ha riferito al giudice istruttore prima e al ctu poi (eccessivo utilizzo di alcool per disinfezione, anche personale, rinvio dei compiti scolastici all’orario serale, critiche rivolte al padre, condivisione del letto con madre e nonna), al pari dell’adozione, da parte della (…) di inadeguate modalità di approccio al figlio, potrebbero, infatti, al più giustificare una preferenza, anche marcata, per la figura paterna (peraltro più incline ad assecondarne le richieste) e per il relativo contesto ambientale, probabilmente percepito come più stimolante e rassicurante (il padre vive a (…) con la nuova compagna (…) mentre la (…) abita con la madre (…), ma non spiegano una così categorica ostilità nei confronti della madre (con la quale il minore rifiuta anche il contatto fisico), che si traduce pure in un atteggiamento immotivatamente sospettoso, palesato, come detto, nei colloqui con il ctu, e, già prima, negli incontri monitorati dalla (…) (cfr. relazione del (…) con particolare riferimento al 4° incontro, durante il quale (…) ha ipotizzato che la madre avesse appositamente fatto ritardo all’appuntamento al mare, e al 6° incontro, nel corso del quale il minore ha avanzato il dubbio che la madre avesse finto di inciampare).
Neanche è sostenuta da plausibili motivazioni l’avversione manifestata per i familiari della madre (nonna e zii), che (…) reputa schierati contro di lui, senza però riuscire a fornire una valida giustificazione della sua sensazione.
Valutata ampiamente la criticità della situazione, il ctu ha suggerito l’adozione dei seguenti provvedimenti: affidamento del minore ai Servizi Sociali; collocamento prevalente presso la residenza del padre; ampliamento dei tempi di permanenza presso la madre.
Tali soluzioni, condivise dalla resistente, non sono state avversate dal consulente di parte ricorrente se non per ciò che attiene alla indicazione del soggetto affidatario, rispetto alla quale il dissenso è motivato esclusivamente da ragioni di ordine pratico.
Il ctp non ha però prospettato soluzioni alternative e, in particolare, neanche ha ipotizzato l’adozione del regime di affido esclusivo al (…) sul quale ha invece continuato ad insistere la difesa del ricorrente in sede di scritti conclusivi (in linea con le aspettative da quest’ultimo rappresentate al ctu; cfr. questionario allegato alla relazione peritale).
La richiesta non può essere accolta.
Il pregiudizio che il (…) ha sin qui arrecato al diritto del minore alla bigenitorialità ne attenua sensibilmente l’idoneità genitoriale, la quale si misura anche attraverso la valutazione della capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore (cfr. Cass. 6919/16).
L’incapacità del (…) di promuovere l’”accesso” dell’altro genitore, già dimostrata dalla ristrettezza degli spazi che negli ultimi anni sono stati riservati alla (…) e, anzi, la sua ostinazione nella direzione opposta sono ulteriormente confermate proprio dalla richiesta in esame, che, in quanto non supportata da valide motivazioni circa l’inidoneità genitoriale della resistente, altro non esprime che una ferma determinazione verso il definitivo consolidamento del processo di emarginazione della figura materna.
Non v’è dubbio, del resto, che in una situazione critica quale quella palesata dagli esiti dell’espletata istruttoria, il regime di affidamento esclusivo non potrebbe che produrre l’effetto di marginalizzare ulteriormente, anche agli occhi del minore, il ruolo della madre, a tutto vantaggio della figura paterna, già patologicamente dominante.
D’altro canto, nemmeno è ipotizzabile un affidamento esclusivo alla (…) la quale non sembra pronta, in ragione dei tratti caratteriali e temperamentali ben delineati dal ctu e della oggettiva problematicità dell’attuale dinamica relazionale con il figlio, ad assumersi le correlate responsabilità, come del resto confermato dalla sua incondizionata adesione alla soluzione prospettata dall’ausiliare del Tribunale.
Va parimenti esclusa la strada dell’affidamento condiviso, che non ha sin qui prodotto risultati positivi, data l’incapacità dei genitori di gestire il conflitto personale con modalità idonee a preservare l’equilibrio psichico del figlio, e che non si ritiene possa consentire il superamento delle descritte criticità, tenuto pure conto del rapporto di forza tra le parti, assolutamente sbilanciato a favore del (…) anche a causa dell’atteggiamento tendenzialmente passivo e arrendevole della (…).
Appare, dunque, necessario l’affidamento a terzi.
Tale modulo di affidamento, pur in difetto di previsione normativa specifica, deve reputarsi praticabile, vista la generale possibilità, attribuita al giudice dall’art. 155, comma 2, c.c. (attualmente dall’art. 337-ter, comma 2, c.c.), di adottare tutti i provvedimenti che riguardano la prole “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (cfr. Cass. 784/12).
Non avendo le parti fornito indicazione di persone affettivamente vicine al minore in grado di assumere la responsabilità dell’affidamento e di svolgerne i compiti mantenendo una posizione equidistante rispetto alle due figure genitoriali, la soluzione più idonea risulta quella dell’affidamento ai Servizi Sociali del Comune di (…) nella persona del dirigente responsabile del settore, anche in considerazione della prioritaria necessità di assicurare il costante monitoraggio dell’osservanza del programma di incontri madre-figlio, di cui si dirà in seguito. Devono essere recepiti i suggerimenti del ctu anche per quanto attiene al collocamento prevalente del minore presso il padre.
Trattasi di soluzione condivisa da entrambe le parti e che si profila come obbligata, non ravvisandosi valide alternative.
Infatti, accedendo anche in tal caso alle valutazioni formulate dal (…) il rimedio elettivo da adottare in casi di alienazione genitoriale, ossia l’immediato allontanamento del minore dal genitore alienante, risulta nella specie impraticabile, in quanto, data l’età di (…) lo sradicamento dal contesto familiare paterno e il collocamento in ambiente neutro potrebbero alimentare i sentimenti di rabbia che il minore nutre nei confronti della madre e rischerebbero in definitiva di provocare allo stesso ulteriori danni psicologici.
Per le medesime ragioni neanche è ipotizzabile, allo stato, una inversione del collocamento, che peraltro neanche la (…) ha da ultimo sollecitato, avendo, come detto, integralmente aderito alle conclusioni rassegnate dal ctu. Quanto alle frequentazioni con la madre, può essere recepito il calendario elaborato dal (…) con le integrazioni di seguito indicate, che tiene conto, per quanto possibile, anche delle esigenze di studio e, in particolare, di frequentazione del (…).
Dunque, la (…) terrà con sé il minore a week-end alternati, dal termine dell’orario scolastico del venerdì ((…)) alle ore (…) del lunedì.
Nelle restanti settimane, lo terrà con sé dalle ore (…) della domenica sino alle del (…) lunedì.
Il minore trascorrerà con la madre il giorno del proprio compleanno o quello dell’onomastico.
La (…) terrà con sé il figlio per sette giorni consecutivi nel periodo delle festività natalizie, comprensivi, ad anni alterni, dei giorni di Natale e della vigilia o del 31 dicembre e di Capodanno, nel giorno di Pasqua o in quello del Lunedì dell’Angelo, con alternanza annuale, nonché per venti giorni consecutivi nel periodo delle vacanze estive.
Gli specifici periodi di permanenza presso la madre durante le vacanze natalizie ed estive saranno individuati, con congruo anticipo, dai Servizi Sociali affidatari, tenendo conto delle disponibilità ed esigenze dei genitori e del minore.
I Servizi affidatari valuteranno l’opportunità di assicurare al minore un sostegno psicologico, avvalendosi, se necessario, di figure professionali specialistiche, fino alla auspicabile normalizzazione del rapporto con la madre.
Non può essere invece accolto il suggerimento del consulente di parte del (…) di predisporre “un intervento psicologico con finalità clinico trasformative che sia rivolto anche ai genitori”, prescrizioni di tal genere esulando dai poteri del giudice investito della controversia sull’affidamento dei minori (cfr. Cass. 13506/15).
La richiesta di risarcimento dei danni in favore della resistente e del minore merita accoglimento.
Come si è visto, il (…) ha gravemente pregiudicato, almeno sin dal momento della inversione del collocamento, risalente ad oltre (…) la relazione affettiva madre-figlio, in tal modo ledendo tanto il diritto del minore alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena, quanto il diritto della (…) di svolgere il proprio ruolo genitoriale.
Tenuto conto, per un verso, della condizione di disagio psichico in cui versa il minore, della durata della emarginazione della figura materna, delle presumibili sofferenze patite dalla (…) per il distacco fisico ed emotivo dal figlio, e, per altro verso, della già evidenziata concorrente responsabilità di quest’ultima, si reputa equo liquidare il pregiudizio in Euro 5.000,00 per ciascuno dei soggetti danneggiati.
Sempre ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., il (…) deve essere inoltre ammonito ad astenersi dal tenere condotte ostative delle frequentazioni madre-figlio.
Le misure indicate appaiono sufficienti a dissuadere il (…) dalla reiterazione di condotte lesive, non reputandosi, dunque, necessario irrogare la sanzione prevista dal comma 2 n. 4 del citato art. 709 ter c.p.c.
Al prevalente collocamento del minore presso il padre, al quale resta assegnata la casa familiare (sul punto, peraltro, non v’è controversia), consegue che deve imporsi alla (…) il versamento all’ex coniuge di un contributo per il mantenimento del figlio, non potendo l’attuale stato di disoccupazione, in difetto di allegazione e prova di condizioni di inabilità al lavoro, giustificare l’esonero dall’obbligo contributivo.
Il dovere dei genitori di concorrere al mantenimento del figlio implica infatti anche un onere di attivazione nella ricerca di un’occupazione dalla quale trarre le risorse finanziarie necessarie allo scopo.
Si reputa congruo, tenuto anche conto delle presumibili esigenze del minore, correlate alla sua età, quantificare detto contributo nella misura di Euro 200,00 mensili, conformemente alla richiesta del ricorrente.
Le spese straordinarie eventualmente necessarie per il minore, da concordare preventivamente (salvi i casi di urgenza), graveranno su entrambi i genitori in misura pari al 50% ciascuno.
Va infine rigettata la domanda di assegno divorzile formulata dalla resistente, la quale non ha provato, e nemmeno specificamente allegato, di essersi invano attivata nella ricerca di una fonte di reddito.
Si evidenzia, al riguardo, che l’attribuzione dell’assegno ex art. 5, comma 6, L. 898/70 presuppone non solo l’indisponibilità di mezzi adeguati a consentire la conservazione del tenore di vita coniugale, ovvero, secondo il più recente orientamento della S.C., ad assicurare al coniuge più debole l’indipendenza economica (Cass. 11504/17), ma anche l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nella specie non dimostrata.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali. Spese di ctu definitivamente a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna.
Ricorrono i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, del D.L.vo 196/03 per disporre che sia apposta sull’originale della sentenza, a cura della Cancelleria, un’annotazione volta a precludere l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi delle parti del presente giudizio, nel caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica o con ogni altro mezzo, per finalità di informazione.
P.Q.M.
Il Tribunale, tenuto conto delle conclusioni del P.M., definitivamente pronunciando, così provvede:
– affida il minore (…) ai Servizi Sociali del Comune di (…) nella persona del dirigente responsabile del settore;
– dispone il collocamento prevalente del minore presso il padre, al quale resta assegnata la casa familiare, disciplinando i tempi di permanenza presso la madre secondo il calendario riportato in parte motiva;
– ammonisce (…) ad astenersi dal tenere condotte ostative delle frequentazioni madre-figlio;
– condanna il ricorrente al risarcimento dei danni in favore della resistente e del figlio, che quantifica in Euro 5.000,00 per ciascuno;
– dispone che la resistente contribuisca al mantenimento del minore versando al ricorrente la somma di Euro 200,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati elaborati dall’Istituto centrale di statistica;
– rigetta la domanda di assegno divorzile;
– compensa le spese processuali;
– dispone che la presente sentenza sia comunicata, a cura della Cancelleria, ai Servizi Sociali del Comune di (…) nella persona del dirigente responsabile del settore;
– dispone che, ai sensi del D.L.vo 196/03, art. 52, comma 2, sia apposta sull’originale della sentenza, a cura della Cancelleria, un’annotazione volta a precludere l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi delle parti del presente giudizio, nel caso di riproduzione della sentenza medesima in qualsiasi forma, per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici, o mediante reti di comunicazione elettronica, o con ogni altro mezzo, per finalità di informazione.
Così deciso in Cosenza nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2017.
Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2017.