Non ho alcuna intenzione di entrare nel contenzioso sull’esistenza della PAS come patologia o meno, ma ciò che esiste è però, e di sicuro (e nella mia pratica clinica l’ho incontrato infinite volte) il rifiuto di un minore ad incontrare l’altro genitore con motivazioni risibili.
Non è questa, a mio avviso, la sede per discutere approfonditamente il fenomeno: esso però esiste, è a mio avviso grave, ha radici complesse e multiple, e ciò non impedisce che sia a volte usato in modo strumentale, come tante patologie riconosciute come tali. Il fatto che molti criminali tentino di ottenere la dichiarazione di non imputabilità attraverso diagnosi più o meno credibili di patologie mentali, non ha mai spinto nessuno a chiedere l’abolizione di tali patologie.
Che poi la PAS sia o no una “malattia”, non lo so e non mi interessa saperlo: ritengo però che il fatto che un minore interrompa o limiti i contatti con uno dei genitori basandosi su accuse e affermazioni che in una relazione genitoriale integra non gli permetterebbero di recidere i rapporti, sia un comportamento disfunzionale al minore, perché il rapporto con i genitori va comunque conservato, luci e ombre che essi abbiano.
Nell’aspro e spesso dissennato dibattito che si è acceso intorno all’esistenza della PAS, ci si dimentica però di notare come sia la conflittualità legale e i “premi” che essa mette in ballo, ad avere un peso determinante nel generare il fenomeno. Cosa accadrebbe se avessimo un tipo di procedimento giudiziario non basato sulle polarità “vincitore/vinto” – “torto/ragione”, “vittoria/sconfitta”, “migliore/peggiore” e via dicendo?
Altro dato che nessuno intende approfondire è che anche il conflitto culturale sulla PAS sia la precisa dimostrazione che proprio l’esistenza di queste polarità riesce a creare conflitti su conflitti senza mai risolverne uno. Con ciò intendo dire che anche il conflitto sulla PAS “Malattia / Non Malattia” mi appare un conflitto strumentale a collocare la soluzione là dove non c’è: il punto non è sapere se la PAS sia “davvero” una malattia o no, ma creare contesti nei quali il conflitto fra genitori non sembri premiante. Il conflitto genitoriale è premiante infatti solo per il sistema che lo utilizza generando contesti conflittuali ricorsivi (vale a dire che si autoalimentano).
Oggi qualcuno tende ad assimilare PAS e il c.d. Mobbing Genitoriale, ma è bene approfondire le caratteristiche di due fenomeni solo apparentemente distinti tra loro. Il mobbing, infatti, è evento in natura legato esclusivamente alla genitorialità, ed è stato descritto dapprima solo e soltanto in etologia. Solo successivamente se ne sono “appropriati” due studiosi svedesi Leymann e Gustavsson.Il termine “mobbing” è stato infatti utilizzato per la prima volta in etologia da Lorenz, nel per descrivere gli attacchi di piccoli gruppi animali contro uno più grande. Solo successivamente è stato trasposto a contesti umani.
E’ interessante notare come nel mondo animale il comportamento di attacco contro un individuo estraneo al gruppo mobbizzante, sia praticamente sempre un comportamento rivolto alla tutela della genitorialità, nel senso della tutela di prole già nata o di uova fecondate rispetto all’assalto di predatori che vengono “mobbizzati”: come sostiene l’etologo Allock, “i genitori che manifestano attività di mobbing proteggono con essa i propri piccoli e le proprie uova, e che in questo risiede il valore adattivo di tale comportamento attivo”, cioè una sorta di situazione ottimale che favorisce negli individui la trasmissione dei propri geni. In altri termini, il mobbing emerge sempre nel mondo animale allorché la prole, o le possibilità di nascita della stessa, vengano messe in pericolo. Ciò la dice lunga sulla ineluttabilità di comportamenti mobbizzanti allorché un conflitto emergente da un sistema più grande di quello familiare (il sistema giudiziario) trasforma la coppia di genitori in estranei contendenti.
Se non si vuole accettare questo punto di vista, e si vuole disquisire se il “mobbing” possa essere o no genitoriale, invece di cercare di creare contesti che non trasformino i genitori in nemici, si finisce a mio avviso con il colludere e con l’esaltare proprio quella conflittualità da cui si pretende di tutelare un astratto “minore” in nome del quale si continua a confliggere con chiunque. In una cultura del “torto/ragione”, “giusto/sbagliato”, “vero/falso” individuati come criteri premianti per le regole di una relazione genitoriale, a mio avviso non c’è posto per i bambini, che possono solo esistere quale frutto di una reciproca relazione.
GAETANO GIORDANO – Direttore Centro Studi Separazioni e Affido Minori
Fonte: www.adiantum.it
Fonte: blog.ilmanifesto.it