Nel 2019 Enea, una ragazza francese di 18 anni, è morta per una overdose di farmaci. Due anni dopo sua madre è stata sentita e poi indagata per avvelenamento. Per quasi dieci anni, Yannick Reverdy, il padre della ragazza, ha sollevato il problema del pericolo rappresentato dalla madre per i suoi figli.
Écrit par Maïté Koda avec Alexandre Perrin
Fonte/Credits: France 3 Regions
Si descrive come “un padre distrutto, in preda alla tristezza e ad una fredda rabbia”. Yannick Reverdy è padre di tre figli. Il 19 novembre del 2019 la figlia maggiore Enea è morta all’età di 18 anni a l’ospedale di Dax. Sei giorni prima era stata vittima di un malore. Una intossicazione da farmaci: i periti hanno stabilito che la ragazza aveva ingerito dei betabloccanti in grande quantità.
All’epoca i genitori di Enea e sua sorella Louanne erano separati, le figlie vivevano con la madre, a Dax. Gli inquirenti, che non hanno trovato una ricetta per i beta-bloccanti, né hanno rilevato nella giovane alcuna intenzione suicidaria, sospettano il concorso di qualcuno nell’avvelenamento. Nel gennaio 2022 Maylis Daubon, la madre di Enea, è stata incriminata per avvelenamento. Gli inquirenti hanno riscontrato incongruenze nella sua versione dei fatti. Hanno anche scoperto che, pochi giorni prima della malattia, la madre di Enea aveva cercato su Internet informazioni sulle conseguenze di un sovradosaggio di beta-bloccanti, che sono farmaci prescritti per le malattie cardiache. La madre però smentisce l’accusa, e sostiene che anche i suoi figli avevano libero accesso al suo telefono.
Per anni, Yannick Reverdy, il padre, ha cercato di mettere in guardia sulla situazione, denunciando lo stato di soggezione psicologica in cui la madre di Enea teneva le sue figlie. Ma senza mai essere ascoltato. Il padre è convinto che il contesto conflittuale della separazione, e la capacità di persuasione della madre di Enea (che il pm di Mont-de-Marsan ha definito all’inizio dell’anno “una personalità caratterizzata da mitomania“) hanno impedito che il suo allarme potesse essere ascoltato.
Secondo Yannick Reverdy, la madre delle sue figlie lo aveva detto appena si sono separati: “quando le ho detto che l’avrei lasciata, mi ha detto: non vedrai mai più le tuoe figlie“. E nonostante una lunga battaglia legale, “dieci anni di indagini, inchieste, perizie, che hanno individuato tutte le disfunzioni della madre, le sue carenze educative, la sua tossicità, lo stato delle ragazze…“, il padre è rimasto completamente esclusa dalla vita delle figlie.
“Non sono stato giudicato sui documenti, ma sul mio aspetto e su quello che la mia ex moglie ha detto all’inizio: mi ha diffamato fin dall’inizio“, si lamenta e ricorda le parole di Enea, allora bambina, a un assistente sociale: “non possiamo andare da papà, perché la mamma si suiciderebbe“.
E’ seguito quindi un decennio, durante il quale Yannick Reverdy non ha quasi mai rivisto le sue figlie. Preoccupato, moltiplica le segnalazioni. Gli esperti descrivono la personalità mitomane e manipolatrice della madre. Un giudice parla dei bambini come “morti viventi“. Tuttavia, non accade nulla. Il padre è impotente di fronte a questa deriva mortale.
“A poco a poco la personalità di Enea è scomparsa” , racconta della sua “bambina d’oro“. Questa ragazzina dispettosa, piena di vita, sensibile, felice, si è gradualmente come estinta. All’inizioil padre ha pensato ad un abuso psicologico. Successivamente, il il fascicolo dell’indagine ha mostrato che c’era una causa farmacologica. La madre di Enea, che sosteneva che la figlia era gravemente malata, non la mandava a scuola , e in due anni l’aveva fatta visitare da 32 medici. La giustizia ora sospetta che lei abbia somministrato farmaci alle sue due figlie, senza prescrizione, per diversi anni.
L’indagine è ancora in corso. Viene incriminato anche un fratello di 21 anni del fidanzato di Enea. Yannick Reverdy, è convinto della colpa della sua ex moglie, che, secondo lui, temeva che la loro figlia maggiore si emancipasse dall’influenza materna. “Tra quello che sento nel profondo, quello che ho vissuto per dieci anni e la lettura del fascicolo dell’inchiesta, non ho dubbi. Escludo totalmente il suicidio: lei [la madre di Ena, ndr] ha premeditato il suo atto ed è intervenuta“.
Il padre in lutto dice di avere fiducia nella giustizia. “Vorrei che ora venissero individuati coloro che hanno commesso questo crimine e che hanno distrutto la mia vita“, continua, dimostrando la sua determinazione. “Sono sostenuto dall’impegno in questa lotta. Ho tre figlie. Enea non c’è più ma la amo più che mai, e questa lotta è per i miei figli: senza l’amore che ho per loro, non posso non essere qui oggi”
“Maylis Daubon ha sempre formalmente contestato queste accuse” ricorda il suo avvocato Gérard Danglade. “Le indagini non rivelava precisamente quando è avvenuto l’avvelenamento e non è chiaro se la signora Daubon fosse presente quando Enea prese il i farmaci“, afferma, e si stupisce che durante il procedimento e gli anni nessuno si sia commosso della sorte del giovane ragazza.
“Certo i bambini erano ipermedicalizzati è indiscutibile” ammette ma fa notare l’assenza di un movente: “la madre ha iperprotetto le sue figlie, è vero che erano abbastanza vicine. Ma non aveva odio nei loro confronti. Penso che avesse bisogno delle suoi figlie!“.
“La signora Daubon è stata vista in più occasioni da esperti, psicologi, psichiatri, educatori, medici… Se fosse stata davvero dannosa per le sue figlie, le sarebbero state portate via.”
Il legale della madre di Enea, in custodia cautelare da gennaio, prevede di presentare a breve una richiesta per la scarcerazione della sua assistita.
22 luglio 2022
Scritto da Maïté Koda con Alexandre Perrin
Fonte/Credits: France 3 Regions