In che modo i figli si rendono conto di essere stati alienati? – Amy J. L. Baker

figli-divisi[1] Amy Baker dedica due capitoli del libro “Figli divisi” alla descrizione del modo in cui  i figli alienati da un genitore si rendono conto dell’abuso psicologico che hanno subito e riprendono i contatti con il genitore rifiutato. Il modello psicologico di riferimento è quello dell’abbandono di una setta religiosa in quanto l’alienazione genitoriale viene considerata a tutti gli effetti come “culto di un genitore”.

A tutt’oggi disponiamo di scarse informazioni sul modo in cui gli individui lasciano il “culto del genitore” e vengono a patti con la propria infanzia.

Secondo le testimonianze di ex affiliati, l’abbandono di una setta avviene di propria volontà, per espulsione o quale conseguenza di counseling.

I fuoriusciti volontari sono coloro che si disilludono della setta e giungono a comprendere da soli che quella esperienza non ha più alcun significato per loro. Come ha spiegato un ex adepto: «E come se ci fosse uno scaffale su cui riponi tutti i tuoi dubbi e le tue incertezze mentre fai parte del gruppo. Nel corso dei mesi o degli anni assisti a tanti conflitti con le tue convinzioni e i tuoi valori originari e vedi compiere dal gruppo o dal leader cose che non sono giuste. A causa dell’indottrinamento e del divieto di far domande, lasci tutti i tuoi dubbi sullo scaffale. Alla fine lo scaffale diventa sempre più pesante e si spezza, ed allora sei pronto ad andartene» (Tobias e Lalich, 1994, p. 53). Anche Layton, una superstite del Tempio del Popolo di Jonestown, ha parlato di un luogo all’interno della mente riservato ai dubbi e alle incertezze. «Come sempre, nascondevo le mie paure nello scomparto segreto dove il pensiero razionale non poteva entrare» (1988, p. 131).

I seguaci che vengono espulsi hanno violato un principio fondamentale della setta, diventando una minaccia per il leader e la stabilità stessa del gruppo; sono costretti a lasciare la setta allo scopo di preservano. Espellere un affiliato da una setta adempie lo scopo secondario di incutere la paura negli altri membri, i quali dovranno obbedire alle regole per evitare di essere a loro volta allontanati.

Il terzo gruppo di adepti abbandona la setta in seguito all’opera di convincimento dei familiari e degli amici. Originariamente ciò avveniva tramite una “deprogrammazione” intensiva. L’individuo veniva sottratto alla setta, talvolta forzatamente, e sottoposto ad una sorta di lavaggio del cervello in senso inverso che annullava l’influenza della setta ed obbligava l’individuo a prendere coscienza di quanto accaduto. In epoca più recente, l’exit counseling – una forma di intervento meno coercitiva – è stato ritenuto più efficace nell’aiutare gli adepti a riconsiderare il loro coinvolgimento nella setta (Clark, Giambalvo, Giambalvo, Garvey e Langone, 1993; Hassan, 1988).

Ciò che resta sconosciuto è il processo con il quale gli adulti che da bambini sono stati vittime della sindrome di alienazione genitoriale abbandonano il “culto del genitore”. Che avvenga volontariamente, per espulsione o quale conseguenza di un intervento terapeutico, affrontare la realtà della PAS è probabilmente più difficile che lasciare una setta poiché il leader di una setta è un genitore vicario mentre l’alienatore è un genitore a tutti gli effetti. Rendersi conto che un genitore è violento e pericoloso è verosimilmente molto più arduo da accettare che se si trattasse del leader di una setta. M. Scott Peck ha osservato che: «Venire a patti con il male radicato nei propri genitori è forse il compito psicologico più difficile e doloroso che un essere umano sia mai chiamato ad adempiere» (1983, p. 130). Riconoscere i limiti dei propri genitori quando si è ancora bambini è pressoché impossibile, qualcosa cui un bambino si sottrarrà ad ogni costo. L’esperta di traumi Judith Hlerman ha scritto a proposito dei minori vittime di abusi: «Per mantenere la fiducia nei genitori, devono rifiutare la prima e più ovvia conclusione che vi sia in loro qualcosa di terribilmente sbagliato. Faranno qualsiasi cosa per costruirsi una versione del proprio destino che assolva i genitori da ogni colpa e responsabilità» (1992, p. 101). Allo stesso modo Fairbairn (1952) riteneva che i bambini si assumono volentieri il “peso della cattiveria” quale modo per difendersi dalla presa scienza dei limiti dei propri genitori.

Ciononostante, all’epoca delle interviste tutti i figli adulti della PAS avevano preso coscienza di essere stati alienati da genitore ad opera dell’altro. Undici di essi ammisero di aver acquisito la consapevolezza dell’alienazione una volta raggiunta l’adolescenza, mentre tre quarti del campione dichiarò che ciò accadde soltanto in età adulta. La durata dell’alienazione e andava dai 7 ai 47 anni, con una media di circa 20 anni, ebbene si tratti naturalmente di cifre approssimative.

In quale modo gli individui PAS divennero consapevoli del fatto che il loro genitore li aveva istigati contro l’altro genitore, che il genitore alienante aveva anteposto le proprie necessità (per vendetta, desiderio di controllo, gratificazione emotiva) a quelle del figlio?

L’uso dell’espressione “presa di coscienza” sta ad indicare come alcune verità non fossero accessibili ad un livello conscio per i figli adulti della PAS. La presa di coscienza comporta l’acquisizione della consapevolezza ditali verità e quindi l’annullamento del lavaggio del cervello e della programmazione. Tale concettualizzazione si ispira agli studi sui meccanismi di negazione e di difesa, ed ipotizza che sia possibile non essere consapevoli di qualcosa che è sempre stata vera La realtà non cambia, cambia la capacita che ha l’individuo di riconoscerla Ciò può essere considerato alla stregua di un risveglio, una disillusione, un aprire gli occhi, un ascoltare il monito della propria voce interiore.

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