La sentenza che ha condannato il dottor Claudio Foti per i fatti di Bibbiano è importante anche per tutti quei genitori che vengono allontanati dai figli dall’alienazione parentale attuata dall’altro genitore.
Infatti i genitori alienanti quando si va a processo sono supportati da avvocati e consulenti tecnici che si ispirano alle medesima ideologia a cui faceva riferimento il team difensivo del dottor Foti. Si tratta di una dottrina che sostiene che è impossibile manipolare psicologicamente un bambino per convincerlo ad accusare un genitore. E’ una posizione veramente curiosa in un processo (sarebbe come se un ladro per difendersi sostenesse che non esiste il furto) ma è quella che viene sistematicamente adottata nei processi di affido dei figli quando c’è l’alienazione parentale.
Ma da oggi c’è una sentenza che può fornire nuovi strumenti processuali. Claudio Foti infatti è stato condannato per lesioni dolose per avere indotto falsi ricordi in una bambina trattata con il suo metodo terapeutico.
(11.11.21) ll tribunale di Reggio Emilia ha condannato lo psicologo Claudio Foti a quattro anni di reclusione, e al pagamento delle spese processuali, per lesioni dolose gravissime su minore.
Da lui parte l’ideazione del metodo che avrebbe reso possibile agli psicologi coinvolti manipolare i ricordi dei bambini per estorcere loro la confessione di abusi che per gli inquirenti non sono mai avvenuti.
Un metodo di psicoterapia minorile basato sull’“emersione dei ricordi rimossi dell’abuso”, utilizzato dagli psichiatri che si sono formati nel centro studi Hansel e Gretel, fondato da Foti stesso, basato sul “provocare” i ricordi rimossi nei bambini in questione. Un metodo considerato scorretto da tutti i protocolli di ascolto dei minori.
Proprio questa prassi gli è valsa la condanna a cinque anni, per lesioni dolose gravissime su minore. Per i giudici, Foti avrebbe sottoposto una bambina a «serrate sedute di psicoterapia svolte con modalità suggestive, con la voluta formulazione di domande sul tema dell’abuso sessuale», allo scopo di «convincerla di essere stata abusata sessualmente dal padre», e «radicando» in lei un «netto rifiuto» nell’incontrarlo, «provocando una prolungata assenza della figura paterna durante l’intero periodo adolescenziale». Un delitto che è stato riconosciuto come aggravato, vista la giovane età della vittima e l’abuso di autorità esercitato dallo psicoterapeuta sulla stessa.
Quindi se la stessa logica giuridica viene applicata ai genitori che inducono con modalità suggestive i figli a fare accuse false contro l’altro genitore, si dovrà concludere che questa condotta costituisce un reato già esistente, quello di lesioni personali gravissime, con l’aggravante della giovane età della vittima.
E come si può definire questa condotta? Coincide in gran parte con i comportamenti che da oltre 25 anni vengono chiamati nella letteratura scientifica “alienazione parentale”. Solo che per difendersi gli “alienatori” hanno sempre sostenuto che l’alienazione parentale non è una malattia riconosciuta, che non esiste. Da oggi dovranno invece difendersi da una accusa penale, quella di aver provocato lesioni.
Che poi a dirla tutta, se una condotta provoca lesioni, significa che la vittima ha subito delle lesioni, e cioè che queste lesioni esistono.
Alla fine di tutto si dovrà tornare a tirare fuori la vecchia “sindrome di alienazione parentale”? Lasciamo la discussione accademica agli studiosi, ma ai fini pratici sostenere che l’alienazione parentale non esiste da oggi è molto più difficile. E i vari consulenti di parte che procedono all’ascolto del minore dovranno usare tutte le cautele del caso per evitare modalità suggestive, per non finire in carcere per lo stesso reato per cui è stato condannato Foti.
11 novembre 2021