Negli ultimi anni si sono viste alcune sentenze della Cassazione che hanno bacchettato con forza i giudici di merito per aver fatto richiamo “anche inconsapevole” alla presunta sindrome di alienazione parentale in provvedimenti che limitavano la potestà genitoriale delle madri. Come era prevedibile i giudici di merito ne hanno preso atto e diligentemente hanno smesso di motivare le loro decisioni con richiami anche indiretti a presunti disturbi denominabili come alienazione parentale o altro di simile. Nulla di particolarmente nuovo del resto perché come si insegna fin dai primi corsi di giurisprudenza l’ambito della scienza giuridica fa perno su metodologie che consentono di confrontare i fatti con le cosiddette “fattispecie giuridiche”. Niente a che vedere quindi con sindromi o disturbi psicologici.
Ed ecco la conferma del nuovo corso della giurisprudenza in tema di manipolazione psicologica. La ricorrente, una madre che aveva messo il figlio contro il padre, contesta ai giudici di merito di aver fatto riferimento alla teoria della sindrome di alienazione parentale. La Cassazione ha analizzato punto per punto il provvedimento contestato ed ha sentenziato quanto segue:
Anche per quanto riguarda la dedotta violazione di legge, il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente dimostrato di avere colto la ratio sottesa alla statuizione assunta, nella parte in cui ha fatto riferimento alla non affidabilità della teoria della sindrome di alienazione parentale, che non è stata affatto richiamata dalla Corte d’Appello, la quale ha, invece, valutato comportamenti concreti, ritenendo che, alla luce delle risultanze in atti, il collocamento del minore in comunità fosse ancora l’unico rimedio in grado di preservare il minore dalla situazione conflittuale tra i genitori e dalla condotta manipolatoria della madre, per lui altamente pregiudizievoli, come era confermato dai miglioramenti registrato da quando l’inserimento comunitario aveva avuto inizio.
Ecco risolto, per l’ennesima volta, l’annoso dilemma “esiste l’alienazione parentale?”. A un magistrato giudicante per usare una espressione ormai in voga “non gliene può fregar di meno…” Lui decide in base a fatti concreti dimostrati in giudizio… (di seguito il testo integrale dell’ordinanza)