(www.alienazioneparentale.it – 9.2.2016)
Intervista al Prof. Giovanni Battista Camerini, Neuropsichiatra Infantile e Psichiatra.
1. Prof. Camerini, qual è lo stato dell’arte dell’Alienazione Parentale in Italia?
Nel nostro Paese e’ in atto un dibattito potenzialmente fuorviante. Da un lato esistono abbondanti evidenze, condivise dalla comunità scientifica (vedi il comunicato della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 2013), riguardo l’esistenza di situazioni nelle quali un figlio o una figlia rifiuta immotivatamente un genitore sulla base di una “campagna di denigrazione” messa in atto dall’altro. Esistono anche evidenze circa i gravi danni che, sul piano clinico, il prolungarsi di queste situazioni comporta per il minore. Dall’altro lato esiste chi nega l’esistenza di una “sindrome” specifica legata a questo fenomeno. Questa negazione nasce da un presupposto corretto: ovvero, questo fenomeno non comporta di per se’ un “disturbo” a carico del figlio o della figlia. Esso va piuttosto considerato come un fattore di rischio per l’instaurarsi di problematiche affettivo-relazionali nel corso dello sviluppo. Da ciò, negare il fenomeno stesso a partire dalla insussistenza di una specifica “sindrome” significa commettere un grossolano errore. Sarebbe come dire che, visto che non esiste una “sindrome” riconoscibile derivante dallo stalking, lo stalking non esiste. O che poiché l’abuso sessuale non produce conseguenze sintomatiche identificabili non esiste l’abuso. Purtroppo anche alcuni giudici sono caduti in questo tranello derivante da campagne “ideologiche” di disinformazione, giungendo a sostenere che i fenomeni di esclusione di un genitore ad opera dell’altro non esistono in quanto la esistenza di una sindrome non è scientificamente dimostrata. Il dibattito va riportato in una dimensione più concreta. Sul piano clinico, studiare (come già si sta facendo) le conseguenze della privazione di un genitore, non direttamente collegate a comportamenti gravemente maltrattanti o trascuranti. Sul piano giudiziario, disporre interventi tempestivi (come ha raccomandato in più sentenze la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) per fare rispettare i diritti relazionali dei soggetti coinvolti in queste vicende: il diritto dei figli alla bigenitorialità ed il diritto-dovere del genitore di occuparsi della cura e dell’educazione del figlio, senza interferenze indebite nella sua vita personale e privata come stabilito dall’art. 8 della Convenzione Europea.
2. L’Alienazione Parentale si riscontra all’interno della CTU: quali attività peritali svolgere nell’ipotesi di AP?
Il problema più grave nel nostro Paese e’ un vacuum di interventi quando sono in gioco e in atto ostacoli al diritto alla bigenitorialita’ di un figlio. La CTU può rappresentare uno strumento molto utile purché venga disposta con la dovuta tempestività, ovvero prima che la situazione si sia radicata e stabilizzata. Gli strumenti in mano al CTU sono diversi. Da un lato si possono realizzare incontri tra genitore rifiutato e figlio in corso di perizia, eventualmente ricorrendo ad un ausiliario con funzioni di “traghettatore” e di osservatore delle dinamiche relazionali che si sviluppano. Dall’altro la CTU può rappresentare, di per sé, una occasione di riflessione sul reale interesse dei figli e sui rischi evolutivi insiti nel mantenimento della posizione di esclusione verso un genitore. In alcuni casi si possono disporre, previo assenso del giudice, diverse modalità di incontro e di visita verificandone l’andamento e gli esiti. È però di solito difficile che queste situazioni possano risolversi entro i rituali tre o quattro mesi, né risulta spesso possibile prolungare la CTU oltre un certo limite alla luce delle necessità giudiziarie. Sono allora praticabili altre procedure : o un coinvolgimento dei servizi sociali (per un monitoraggio con possibilità di relazionare al giudice) o una riapertura della CTU dopo un periodo di sei mesi-un anno allo scopo di valutare gli esiti dei provvedimenti disposti e apportare modifiche al programma di frequentazione e di visite.
3. Alcuni Tribunali ancora rifiutano il concetto di “PAS” perché “non scientifica”. Vuole chiarirci cosa si intende per “teoria scientifica”?
Come ho detto prima, sarebbe come se un tribunale rifiutasse il concetto di stalking perché non è stata riconosciuta come “scientifica” una “sindrome da stalking”. In sede giudiziaria il concetto di PAS o (meglio) di AP nasce dalla constatazione di comportamenti (da parte del genitore “alienante”) che assumono valenza antigiuridica in quanto lesivi dei diritti altrui. Non dimentichiamo che un ostacolo ai diritti di visita può integrare la presenza di reati se in violazione agli articoli 388 cp (non ottemperanza alle disposizioni giudiziarie), 570 cp (violazione degli obblighi familiari), 572 cp (maltrattamenti in famiglia) e 574 cp (sottrazione di incapace). C’è poi, sul piano amministrativo, il purtroppo poco applicato (in chiave di “tutela inibitoria”) art. 709 ter cpc, in base al quale possono essere disposte ammende a carico del genitore inadempiente che può essere tenuto a rifondere i danni sia al figlio sia all’altro genitore. Tali inadempienze dovrebbero essere acclarate non solo attraverso la CTU, ma anche in virtù delle cosiddette “prove tipiche” quali interrogatori e relazioni dei servizi sociali.
Va poi considerato che non spetta di certo al giudice, ma alle comunità scientifiche stabilire il grado di “scientificità” di un costrutto.
4. Spesso sentiamo parlare del c.d. “conflitto di lealtà” del bambino coinvolto nelle dinamiche di AP. Che cos’è?
Il conflitto di lealtà costituisce il nucleo centrale delle condizioni di alienazione parentale. Si tratta di un sentimento pervasivo presente nel figlio o nella figlia e basato sul timore di tradire la fiducia di un genitore (e di perderne l’affetto) qualora si mostri di gradire il contatto con l’altro. Il persistere di questi sentimenti conflittuali è in grado di provocare una sorta di scissione interna nel figlio/nella figlia tra due opposte rappresentazioni di un genitore: da un lato quella positiva, legata alle esperienze di condivisione e di scambi affettivi realmente vissute e sperimentate, dall’altro una rappresentazione negativa e persecutoria derivante dalle squalifiche e dalle denigrazioni operate dall’altro genitore. Tali dinamiche sono in grado di produrre disturbi dell’empatia e del pensiero sino all’instaurarsi di un vero e proprio disturbo dissociativo dell’identità o di tratti di personalità paranoidi.
5. Quali sono le tecniche di ascolto di un minore coinvolto nell’AP? Quali domande deve fare il CTU?
Bisogna stare molto attenti, in questi casi, a non enfatizzare il peso da attribuire all’ascolto del minore. La capacità di discernimento deve sempre essere valutata in relazione alla concreta vicenda umana e processuale in cui il minore è calato, ovvero alla luce dei condizionamenti ed alle pressioni alle quali viene sottoposto in quella specifica situazione. Ascoltare un minore corrisponde al soddisfacimento di un suo diritto, ma non equivale certo al riconoscimento di una autonoma capacità di autodeterminazione, attribuendogli un potere decisionale che non può essergli riconosciuto. In molti di questi casi il minore non fa altro che ricalcare, ad eco, le suggestioni ricevute da un genitore. Prima della fase adolescenziale il CTU dovrà chiedere al bambino/alla bambina di narrare, ad esempio, ciò che fa con l’uno e con l’altro genitore, di riferire che cosa cambierebbe in ciascuno di loro, in che cosa pensa di somigliare loro. Se viene espresso un aperto rifiuto si tratta di esplorarne le ragioni e le motivazioni, senza però mostrare di aderire acriticamente alle volontà espresse. Il trilogue play test clinico costituisce un ottimo strumento di osservazione delle relazioni triadiche ed in CTU può consentire di tutelare le esigenze del minore. Con ragazzi o ragazze più grandi, già entrati/e nell’età adolescenziale, l’ascolto delle posizioni e degli orientamenti che vengono espressi dovrà necessariamente coniugarsi con il richiamo anche ai doveri che il minore deve osservare, come sanciti dall’art. 315 bis cc: in primis, il dovere di rispettare i genitori. Il rifiuto di un genitore, se non giustificato da valide ed obiettive ragioni, non può estendersi nemmeno in un’ultra quattordicenne ad un sottrarsi a qualsiasi forma di contatto. E ciò anche in relazione alla costruzione di quello che Piaget chiamava il “giudizio morale”.
Fonte/Credits: http://www.alienazioneparentale.it/5-domande-a-giovanni-camerini/2016/02/
dante talanga
buonasera, sono il classico esempio di un padre che ha visto “scomparire” suo figlio dall’oggi al domani ( letteralmente ) , da due mesi non lo vedo , non mi risponde al cell ed ai messaggi. mi ritrovo di punto in bianco in una situazione paradossale che mi fa ripetere spesso “.. ma chi mi crede..?
da mesi e tuttora mio figlio 14enne viene bombardato dalla madre con : tuo padre e’ violento ( mai messo le mani addosso a nessuno) , tuo padre e’ un cattivo padre ….
e’ inutile dire il peso con cui vivo , le notti insonni e le lacrime che ho versato.
ma a parte la mia sofferenza attuale ,mi chiedo come possa iniziare una azione legale contro l’alienante , come potrei sballottare mio figlio di 14anni tra assistenti sociali, tribunale , psicologi e non so cosa altro ancora . come potrei sostenere le spese ( che non potrei quantificare ) di tutto cio’ considerando che sono alla terza denuncia ( le prime assolto, vediamo per la terza) ed il mio avvocato e’ diventato un mutuo a scadenza mensile?
a chi ci si puo’ rivolgere quando si vive con questo vuoto improvviso pensando al rapporto che avevamo e che non potrei descrivere a parole per avere un consiglio
sperando di ricacciare le lacrime che sono sempre pronte appena accenno ( a pochi amici ) i non sviluppi della situazione ?
non so se quanto ho confusamente scritto verra’ pubblicato , non fatelo per favore , pero’ avrei piacere di ricevere una parola, un consiglio. grazie.
cordiali saluti.
dante t.