«Dagli anni settanta si assiste ad un proliferare di controversie sulla custodia dei figli, in coppie in corso di separazione, che non ha precedenti nella storia.1
E’ per questo motivo che, via via, si è sviluppata una nuova sensibilità sulla delicata materia minorile, prima attivata in ambito internazionale e poi, seppur con qualche ritardo, pienamente recepita dagli orientamenti normativi dell ‘Italia i cui cardini fondano sulla consapevolezza delle crescenti responsabilità che spettano agli Stati per garantire il pieno rispetto dei diritti e degli interessi dei minori.
Il primo atto formale di una certa rilevanza che testimonia questa maggiore attenzione alla figura del minore è la Convenzione Internazionale sui Diritti dell ‘Infanzia, sottoscritta a New York il 20.11.89 e ratificata dall’Italia con la Legge 176 de1 1991.
Già in tale atto, l’articolo 3 sancisce chiaramente che “…in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni, di assistenza sociale, private o pubbliche, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, “l ‘interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione“.
In particolare, l’articolo 9, comma 3, stabilisce che, “deve essere rispettato il diritto del fanciullo separato…omissis…da uno dei genitori di mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori”.
Il 25 Gennaio 1996, a Strasburgo, viene sottoscritta la Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti dei Fanciulliche, in modo ancora più specifico, focalizza l’attenzione sui minori che divengono oggetto di una particolare tutela.
Infatti, al comma 2 dell’articolo 1, la Convenzione stabilisce che, “nella tutela dell’interesse ottimale dei minori, gli Stati parti, devono garantire la promozione dei loro diritti, la garanzia dei loro diritti procedurali e la facilitazione dell’esercizio degli stessi, l’assicurazione che i minori siano, essi stessi o attraverso altre persone, informati ed autorizzati a prendere parte alle procedure che li riguardano, avviate dinanzi alle autorità giudiziarie”. In particolare, all’art. 3, la Convenzione stabilisce il diritto dei minori di essere consultati e di esprimere i propri punti di vista; inoltre, all’art. 4 è stabilito che, quando il giudicante reputi il minore privo di sufficiente capacità di comprensione (comma 2), questi avrà diritto di richiedere, personalmente o attraverso altre persone, un rappresentante speciale nei procedimenti dinanzi ad autorità giudiziarie che lo coinvolgono (comma 1).
Per quello che riguarda il ruolo dell’autorità giudiziaria, quest ‘ultima, “prima di prendere una decisione, dovrà valutare se dispone di informazioni sufficienti per poter decidere nel migliore interesse del minore e, se necessario, dovrà ottenere ulteriori informazioni consultando il minore personalmente; quindi dovrà dare il giusto peso al punto di vista del minore“.
Si è detto che anche il nostro sistema giudiziario si sta allineando a queste direttive, ma il concreto esercizio di queste è molto meno evidente. Da più parti ci si domanda se i giudici (in particolare nelle cause di separazione) e le autorità tutorie, oberati come sono di lavoro, sono sempre attenti a rispettare e far rispettare i diritti dei minori, ma anche, conseguenzialmente, quelli dei genitori, che per tanta parte influenzano il corretto sviluppo psico-emotivo dei loro figli.
A maggior ragione laddove, negli ultimi anni, le denunce di abuso sessuale sono notevolmente aumentate, facendo aumentare, di conseguenza, i rischi di false denunce e di clamorosi errori di valutazione; infatti capita, sempre più frequentemente, che molte denunce, talvolta dopo anni di pesantissimi e traumatizzanti percorsi
giudiziari, risultino infondate.2
Assume quindi notevole rilevanza il problema della valutazione di un abuso sessuale (prassi della validation) che mette sempre più in primo piano l’esigenza, da parte dell’esperto, di giungere a formulare conclusioni solo dopo aver utilizzato procedure e strumenti garantiti e dopo aver analizzato tutte le possibili prove alternative del caso; questo non solo per tutelare e proteggere il minore, ma anche per non compromettere i diritti di colui che è accusato.3
In via prefattiva è fondamentale chiarire come sia necessario “prepararsi” ad affrontare un tema come quello dell’abuso sessuale sui minori in ambito intra-familiare. Per tutti, purtroppo, in un siffatto approccio i sentimenti personali sono costantemente chiamati in gioco e risulta estremamente difficile prenderne coscienza e valutare le emozioni che si provano per poter prendere la distanza necessaria da se stessi e per poter tentare una valutazione critica e avalutativa dei fatti. L’ analisi della casistica ci mostra quanta poca separazione vi sia tra il livello razionale e quello emotivo; ancor più frequentemente quando ci si trova di fronte a situazioni di abuso sessuale, particolarmente in ambiente intra- familiare.
Il solo parlare di questo tema scatena indignazione, rabbia, ribrezzo, paura, incertezza e turbamento. La miscela esplosiva della combinazione di elementi quali sessualità, violenza, infanzia, famiglia, è tale da “annullare” il senso critico e portare gli operatori giudiziari e sociali ad azzardate razionalizzazioni che, sia chiaro, sono solo un tentativo di proteggere se stessi dalla paura di una responsabilità troppo diretta: non si agisce più con il minore, maper il minore sfornando provvedimenti e relazioni tesi ad allontanare a priori il minore dal probabile male, alleggerendosi così la coscienza e sottovalutando il più grande male che si potrebbe fare laddove l’accusa risultasse infondata. In sintesi, risulta per tutti più agevole assumere un atteggiamento demonizzante che porta a vedere in ogni angolo mostri da distruggere, come ai tempi delle streghe, fino a rischiare di cadere, a volte, attraverso processi di suggestione collettiva, nella persecuzione di innocenti; purtroppo non è raro assistere all’aleggiare di missionari che sarebbero disposti a prendere qualsiasi indizio per prova certa.4
Questo atteggiamento diffuso ha portato, a sottovalutare alcune indicazioni che vengono da numerosi studi effettuati sul tema delle accuse di abuso sessuale in ambito intra-familiare, atteso che il rischio di trovarsi di fronte ad una falsa denuncia deve essere sempre preso in considerazione5, soprattutto nelle separazioni coniugali altamente conflittuali che sono indicate come una condizione di particolare rischio per false denuncie. Trovandoci in siffatta situazione è opportuno seguire le
indicazioni lasciateci dagli esperti e prospettare la cosiddetta Sindrome della madre malevola.6
Questa sindrome è la risultanza di uno schema di comportamento anomalo che ha suscitato molta attenzione negli addetti ai lavori e che presenta specifici criteri nosologici e numerosi esempi clinici. In sintesi questa sindrome abbraccia diversi modelli di comportamento come l’ alienazione dei figli, il coinvolgere altri in azioni dolose, l’ eccedere in azioni legali o più semplicemente mentire agli altri nel tentativo di privare il genitore perduto non solo del tempo da trascorrere con il figlio, ma anche della sua infanzia. La Sindrome della madre malevola è strettamente correlata alla P.A.S. (Sindrome da alienazione parentale) 7 che, per definizione, è, anch’ essa, un disturbo che insorge essenzialmente nel contesto di controversie per l ‘affidamento dei figli e la sua principale manifestazione è la campagna di denigrazione da parte del minore nei confronti di un genitore, una campagna che non ha giustificazione che deriva dall’associarsi dell’indottrinamento da parte di uno dei genitori che programma ( cioè fa il lavaggio del cervello) e il contributo personale del figlio alla denigrazione del genitore che costituisce l’ obiettivo della denigrazione stessa.
Dopo aver chiarito cos’è una P.A.S., occorre sottolineare come una falsa accusa di abuso sessuale è spesso considerata un derivato o un effetto della Sindrome stessa poiché, un’ accusa di questo genere può servire come arma estremamente efficace nelle cause per l’affidamento, soprattutto quando altre manovre di esclusione sono già fallite.
L’ effetto è certo: il mostro è creato! ! Soprattutto perché sostenere che un’accusa di abuso sessuale possa essere falsa è politicamente rischioso o meglio “politicamente non corretto”.
Quelli che provano a resistere e provano a sostenere questa eventualità, sono soggetti acritiche enormi, spesso infiammate e irrazionali.
Valutando l’entità dell’insieme dei danni che sarebbero causati da un’ errata interpretazione, è opportuno chiarire un “modus operandi” che, se da una parte non farebbe altro che rispondere alle più moderne direttive, dall’altra metterebbe al riparo il minore e quanti agiscono nella sua sfera emotiva.
Un’accusa di abuso sessuale è senza ombra di dubbio validata in presenza di indicatori e segni sul piano fisico rilevabili con un esame obiettivo; ma non sempre è questo il caso.
Avendo solo a disposizione la testimonianza del minore è opportuno approfondire la conoscenza del suo mondo interno per dare il giusto significato alle sue espressioni sintomatiche; approfondire la conoscenza del contesto relazionale, per completare la comprensione del quadro individuale situandolo sia rispetto alla storia familiare sia ,rispetto ai più ampi parametri di riferimento socio-culturali in cui il minore è inserito; adottare la procedura di ampliare il più possibile la raccolta anamnestica sul piano individuale e relazionale, anche ricorrendo alle informazioni pregresse; evitare accuratamente ( e quindi accertare se ciò sia già avvenuto!!) elementi di “suggestione positiva” nel dialogo, permettendo che idee, ipotesi e sentimenti dell’adulto si
sovrappongano alla narrazione del minore anticipando situazioni o particolari che lo possano condizionare e alterare l’acquisizione dei dati; tenere in debito conto, nella valutazione della validità delle dichiarazioni del minore, la loro contestualizzazione,
con particolare riguardo ai tempi, ai modi, ai luoghi, agli interlocutori e agli aspetti emotivi. Solo in questo modo si avrà la certezza di aver agito in
modo scientifico e professionale, scevri da preconcetti e pregiudizi, nell’esclusivo interesse del minore ed evitando che, a suo danno, si avveri quella “profezia che si autoadempie” che porterebbe a far divenire reale solo ciò che i vari interlocutori volevano fortemente che fosse.
1 Gardner R.A. -La Sindrome da Alienazione Parentale -seconda edizione -CressKil1 -NJ ¬Creative Therapeutics Inc. -Traduzione italiana Polizzi R.
2 G. De Leo -M.C. Piscione -Problemi di Metodo nelle Consulenze Tecniche per la valutazione della Attendibilità delle Testimonianze dei Minori Abusati- in A. Forza, P. Michielin, G. Sergio (a cura di) -Difendere, Valutare e Giudicare il Minore -Giutfrè -Milano -200 l
3 S. Monni -Gli indici psicologici e comportamentali nell’abuso sessuale sui minori -in G. Gulotta, M. Zettin (a cura di) -Psicologia Giuridica e di Responsabilità-Giutfrè -Milano -1999
4 Fabrizio Eggenschwiler- giurista -Quali risposte al fenomeno degli abusi sui minori?
5 Marinella Malacrea -neuropsichiatria infantile -La “Dichiarazione di consenso” in tema di abuso sessuale alI ‘infanzia
6 Ira Daniel Turkat, Ph.D. -La Sindrome della madre malevola -traduzione italiana della Dott.ssa Rosa Polizzi
7 Gardner R.A. -op. cit.»
[Fonte: http://www.studionemesi.it/abusi-minori.htm]