Separazioni ad alta conflittualità e Sindrome di Alienazione Genitoriale – Francesco Montecchi

Separazioni ad alta  conflittualità e Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS): imbroglio diagnostico o realtà clinica? Dalla parte dei minori

di Francesco Montecchi
Da Minori e Giustizia n.4 -2013 Franco Angeli-Milano

1. Le angosce del bambino nella separazione dei genitori

Nell’evoluzione normale del bambino, condizioni di ansia, timori, momenti depressivi sono sempre presenti, ma sono normalmente contenute, controllate e trasformate attraverso valide relazioni familiari. L’esplosione di un intenso stato di conflitto e la rottura del legame tra i genitori fanno invece riemergere nel bambino, in modo patologico, ansie arcaiche, timori di abbandono, angosce persecutorie e depressive, causate dalla mancanza di punti di riferimento chiari e rassicuranti, costringendolo a cercare a qualsiasi prezzo la garanzia e la certezza di riferimenti affettivi stabili.

L’elemento patologizzante non è la separazione in sé, ma il tipo e la qualità di relazione che, da sempre presente nella storia di queste coppie, si slatentizza nel suo potenziale perverso durante e a separazione avvenuta.

In termini psicologico-relazionali si tratta di processi che iniziano molto prima che ci sia la notifica da parte dell’ufficiale giudiziario e che terminano molto dopo che la causa di separazione sia effettivamente definita a livello legale.

La domanda che ci poniamo abitualmente è se e quanto l’evento separazione-divorzio sia dannoso per i bambini e come questi esprimano il loro disagio. In alcuni studi riguardanti i figli di genitori separati, confrontati con i  figli di genitori non separati, è stato evidenziato che il principale stress subìto si registra durante l’anno successivo alla separazione attraverso riconoscibile con ridotta frequenza del sorriso, un calo del rendimento scolastico, disturbi del ritmo sonno-veglia, riduzione della socializzazione.

Risultati più gravi emergono dagli studi clinici eseguiti abitualmente dagli psicoanalisti e dagli psicologi relazionali: lo stato di conflitto dei genitori porta a un’evoluzione patologica della personalità del bambino, e con una difficoltà a sviluppare relazioni intime.

Nelle separazioni conflittuali, i bambini sono oggettivamente a rischio di danno evolutivo perché sono strumentalizzati ai fini della separazione dei genitori e della richiesta di risarcimento, economico e psicologico, che ne deriva. Queste coppie tendono ad attuare una sorta di “sindrome da indennizzo” ed utilizzano tutto quello che può essere messo in atto, compresi i bambini, per l’illusione della vittoria.

2. Vissuti e fantasie effetto della separazione e della conflittualità

La separazione e la conflittualità attivano nel bambino molteplici vissuti e fantasie. Egli:

  • tende a colpevolizzarsi per la separazione dei genitori;
  • continua a fantasticare la loro riunificazione, anche molto tempo dopo la ricostituzione di nuovi legami affettivi dei genitori con un nuovo compagno/a;
  • resta idealmente legato alla precedente struttura familiare, che determina distorsioni cognitive della reale situazione;
  •  vissuti e fantasie ulteriormente aggravati dalle triangolazioni e dai tentativi di manipolazione effettuati dai genitori e/o dai parenti, che tendono a spingere i bambini da una parte o dall’altra, del conflitto genitoriale.

Ripetutamente questi bambini ripetono “voglio che mamma e papà restino insieme” a cui si da loro una risposta concreta di avere un desiderio incongruo, mentre si perde di vista il valore simbolico della richiesta: in realtà non interessa tanto che mamma e papà proseguano a giocare insieme ,ma implicitamente chiede “fai in modo che restino uniti … dentro di me”. Questi genitori sono informati ripetutamente che il loro comportamento porterà danni psicologici gravi al bambino, ma nonostante questo rischio perseverano nei loro comportamenti pur di soddisfare il rancore e la rabbia verso l’ex partner..

È frequente che nel passaggio da un genitore all’altro, quando deve separarsi da un genitore, o quando torna a casa, dopo la frequentazione dell’altro genitore il bambino manifesti  sofferenza o  veri e propri sintomi. Questi possono essere riletti in modo distorto, ad esempio possono essere considerati un segnale che il bambino vuole rimanere con il genitore da cui si distacca o come la chiara dimostrazione che il figlio non vuole andare dall’altro genitore; ma il disagio può anche essere letto come il segno di quanto sia nociva la frequentazione dell’altro genitore. In questi casi i genitori non si rendono conto che il disagio e i sintomi del bambino esprimono i sentimenti penosi che questi sperimenta quando, trovandosi al centro del conflitto dei genitori, si sente devastato dal senso di colpa di star bene con un genitore e dal timore che questo suo affetto e attaccamento offenda l’altro genitore. I sintomi del figlio possono essere utilizzati per dimostrare quanto sia dannoso mantenere il rapporto con l’altro genitore, o per ridurre quanto più possibile gli incontri con il genitore non affidatario, facendo in modo che gli incontri siano impediti o non siano soddisfacenti per il bambino.

Purtroppo anche l’iter processuale, necessariamente, basato sulla scissione: competente/incompetente, colpevole/innocente, ecc., rispecchia il funzionamento scisso della coppia a relazionarsi in termini di giusto/ingiusto, bravo/inefficiente, vittima/carnefice, preferito ad un percorso clinico o mediativo basato sulla integrazione. Spesso il funzionamento dell’iter legale inasprisce il conflitto, innescando una escalation, in cui entrambi i genitori hanno come obiettivo di perseguire una soddisfazione pulsionale e perversa, una sorta di ricerca di una soddisfazione erotica, a volte ammantata dalla illusione di fare il bene del figlio attraverso il raggiungimento della vittoria legale, piuttosto che aiutarlo in termini medici e psicologici.  La contesa legale è preferita ad un intervento clinico per i figli perché un intervento terapeutico che porti a un cambiamento del figlio li costringerebbe i a rinunciare al suo uso e al suo possesso, e li solleciterebbe a guardarsi dentro e a chiedersi cosa sottendono certe ostinate iniziative fatte in nome del bene dei figli.

La maggior parte dei fallimenti matrimoniali potrebbe essere agevolmente gestita in termini clinico-terapeutici e di mediazione familiare, dove il loro conflitto andrebbe riletto come sintomo o in termini di disagio psichico, disinvestendo le energie emotive ed economiche dalla battaglia legale, utilizzandole per gestire la separazione con un supporto clinico, in modo da non danneggiare i figli e la qualità della propria vita. Ma ciò  difficilmente perseguibile perché comporta l’atto sacrificale di rinunciare alla soddisfazione pulsionale, toccare una sana depressione in cui è possibile riconoscere in se stessi anche negativi oltre ai  positivi fortemente enfatizzati, e nell’ex coniuge aspetti positivi insieme a quelli negativi sempre evidenziati, e riconoscere che anche l’altro può essere per i figli una risorsa malgrado le sue fragilità e carenze; in  terapie ben riuscite, è emozionante vedere come una accanita conflittualità si  trasformi in solidarietà in cui uno dei  genitori supporta la fragilità dell’altro, un tempo usata per dimostrarne l’incompetenza, offrendo al figlio una genitorialità integrata e non più scissa.

Il principale stress è subìto l’anno successivo alla separazione che è quello più emotivamente impegnativo ma questi minori che riescono a stare nella sofferenza non tutti  poi  rifiutano la frequentazione di un genitore, come nella cosiddetta PAS, che palesano il rifiuto di un genitore apparentemente   al momento della separazione ma portano una  antica vulnerabilità di base che li espone a fare il sintomo.

 3. Genitori reali e immagini genitoriali interne

L’organizzazione familiare ha sempre permesso agli individui di avere una struttura sociale che garantisse la loro esistenza. Nonostante esistano vari modelli di famiglia, l’esperienza di avere dei genitori che provvedono allo sviluppo dei figli è un’esperienza comune alla maggior parte delle culture, è universale. È un’esperienza radicata negli strati più profondi della psiche quindi costituisce un modello organizzativo. L’idea di padre e di madre sono immagini migrate nell’inconscio attraverso numerose generazioni indipendentemente da madre e padre reali, sono, come sostiene Jung, archetipi[1]; il bambino alla nascita non è una tabula rasa ma contiene in sé l’archetipo del padre e l’archetipo della madre, ma possedere l’archetipo non è sufficiente a determinare lo sviluppo del bambino ma necessita di essere attivato dai genitori reali, cioè necessita della relazione con i genitori reali. Questi non sono solo ma riferimenti teorici ma ci vengono confermati dall’esperienza clinica della psicologia del profondo .

Secondo Jung il patrimonio archetipico e l’attivazione degli archetipi genitoriali deve essere attivato e mantenuto sin dalla nascita con l’incontro della realtà, quindi con l’incontro di due genitori reali; il bambino, quindi, ha bisogno di due genitori reali per attivare i modelli interni del padre e della madre ,costellazione che gli serve nella sua vita per la costruzione della sua famiglia reale. Ma non solo, il bambino nell’incontro di madre e padre reale entra in contatto col “femminile” e con il “maschile” ,attraverso cui entra in  relazione con il mondo: il mondo affettivo e la relazione di coppia, mondo sociale e la relazione  amicale e la relazione  lavorativa.

Il bambino, una volta che incontra i genitori reali gli viene costellata questa immagine interna, quando gli viene a mancare l’incontro con un genitore o è costretto a rinunciare ad uno  dei genitori non perde solo la persona fisicamente percepibile, ma rinuncia anche all’attivazione dell’immagine interna corrispondente a quella persona.

Le immagini genitoriali interne fanno parte della costruzione strutturale psichica di ogni individuo ed assumono importanti funzioni di guida nella conservazione dell’equilibrio psico-sociale. Nel corso della propria vita i bambini non hanno bisogno dei genitori solo per essere accuditi nelle loro necessità concrete, ma hanno la necessità di stabilire un solido rapporto con entrambi i genitori in grado di attivare una competenza genitoriale ,potenziale, che si espliciterà quando diventeranno essi stessi genitori

L’alterazione e l’interruzione di questo processo possono determinare delle mancanze nell’assunzione della propria funzione sociale e genitoriale.

Queste considerazioni teoriche ci aiutano a comprendere quanto sia essenziale per lo sviluppo del bambino poter mantenere il rapporto con entrambi i genitori e come attraverso ciò si fa una prevenzione di successive deviazioni, disagi, incompetenze, nel passaggio all’età adulta.

Le immagini genitoriali interne fanno parte della costruzione strutturale psichica di ogni individuo ed assumono importanti funzioni di guida nella conservazione dell’equilibrio psico-sociale. Nel corso della propria vita i bambini non hanno bisogno dei genitori solo per essere accuditi nelle loro necessità concrete, ma hanno la necessità di stabilire un solido rapporto con entrambi i genitori in grado di attivare i modelli interni del padre e della madre che, presenti come predisposizione interna, sono innescati dal rapporto reale. L’attivazione di questi modelli genitoriali interni, definiti da Jung “archetipi” è inoltre strettamente connessa ai modelli di maschile e femminile, plasmando il modo in cui il bambino vivrà le future relazioni affettive

Tanto i futuri rapporti sociali, quanto la futura realizzazione del proprio ruolo di madre o di padre sono strettamente connessi al rapporto con i genitori reali e con i modelli interni che essi hanno attivato, sono,pertanto, determinanti per la costruzione del mondo interno del figlio.  L’alterazione e l’interruzione di questo processo può determinare delle carenze nell’assunzione della propria funzione sociale e genitoriale. Questi considerazioni teoriche ci aiutano a comprendere quanto sia essenziale per lo sviluppo del bambino poter mantenere il rapporto con entrambi i genitori.

 4. La cosiddetta PAS (Sindrome da Alienazione Genitoriale)

Lo psichiatra statunitense Richard A. Gardner, nel 1989, descrisse queste situazioni di violenza psicologica cui sono sottoposti i figli di genitori la cui relazione di coppia sia molto conflittuale, come una sindrome, la Sindrome di Alienazione Genitoriale, più nota con l’acronimo di PAS. Egli  parlò di “manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente” rilevando che il bambino “dopo essere stato sottoposto ad un efficace condizionamento, è dominato dall’idea di denigrare e disapprovare uno dei  genitori in modo ingiustificato e/o esagerato” e ne rifiuta la frequentazione[2].

Si tratta di una condizione clinica cui si sta recentemente prestando attenzione, seppur sempre esistita, che con l’aumento delle separazioni ad alta conflittualità sta emergendo come una forma di abuso sui minori sempre più diffusa. Ma allo stato attuale è molto controverso il suo riconoscimento come una sindrome. Nella diagnosi psicologico-psichiatrica ci sono due principali orientamenti diagnostici: l’approccio categoriale e il dimensionale; il categoriale offre categorie diagnostiche, il dimensionale, spiega come le patologie si formano.

il DSM è un  manuale che esibisce diagnosi categoriali, fondamentale per dialogare tra professionisti nel porre le diagnosi delle patologie psichiatriche  e che possono avere un criterio condiviso, è riferito all’individuo e non contempla il gruppo o il sistema familiare; non è una verità assoluta tant’è che ne sono uscite cinque revisioni; gestita ,di fatto, dalla società psichiatrica americana, che si intreccia con vari interessi: dalle diagnosi derivano i protocolli farmacologici(= soldi), l’assistenza sanitaria specie assicurativa(=soldi),i finanziamenti statali(=soldi), ecc. Non è l’unica classificazione delle malattie ,c’è anche l’ICD10 dell’OMS utilizzati soprattutto in ambito europeo per codificare le cause di malattia nei ricoveri e per le ricerche epidemiologiche. Ma l’approccio categoriale rischia di ridurre la complessità della pratica clinica reale, mentre  la diagnosi  dimensionale, legge i disturbi dal punto delle interazioni e delle cause che incatenano alcune dimensioni separatamente misurabili, facilita la classificazione di casi al confine tra differenti categorie, dei casi difficili e della co-morbilità, Valorizza il senso dei sintomi che ordina in un processo che tiene conto della storia  dell’individuo(l’anamnesi)

In realtà  la diagnosi di PAS ha delle fragilità :

  • la definizione della PAS  nasce da  una lettura adulto-centrica, che occhieggia maggiormente i contrapposti  “diritti degli adulti”;
  • è una ”patologia’ ‘secondo una lettura dalla parte del genitore alienato;
  • è cioè vista dalla parte del diritto del genitore escluso dalla frequentazione del/dei suoi figli;
  • il bambino, come individuo, è sullo sfondo ma centrale  strumento per la ricerca di chi deve vincere o chi ha ragione o chi degli adulti è vittima e chi carnefice,
  • sotterraneamente disconosce, di fatto, la valutazione e il riconoscimento del disagio emotivo dei minori  e del loro diritto di salute, se non nel solo fatto che vengono sollecitati, a volte in modo incongruo, a ristabilire la frequentazione del genitore rifiutato .

L’alienazione non è soltanto il frutto del genitore programmante  ma è una dinamica familiare nella quale tutti i membri della famiglia giocano un ruolo ed hanno proprie motivazioni (frequentemente con lo scopo di evitare qualsiasi cambiamento) ed è per ciò che non potrà mai essere considerata nel DSM che accoglie le diagnosi dell’individuo mentre la PAS è diagnosi riferita al sistema familiare.

5. Dalla parte dei minori

Se ci mettiamo dal punto di vista dei bambini  e delle loro relazioni verso i propri genitori, ci si apre un mondo di patologia del loro sviluppo e delle conseguenze che la condizione della cosiddetta PAS comporta; più che dibattere se esiste o e un imbroglio, se osserviamo cosa accade nel bambino, nel suo assetto emotivo, troveremo una serie di fatti clinici. È bene, allora, riflettere sui fatti clinici molto vari che si palesano in questa cosiddetta sindrome e si potrà dimostrare che quello che è enunciato da Gardner:” manovre attuate con successo dal genitore affidatario…”non è cosi o perlomeno non è solo così in quanto i minori hanno una parte attiva e non sono dei passivi manipolati .

I sintomi sono:

– ingiustificata e/o esagerata denigrazione / disapprovare di un  genitore

– accusa: di  indegnità, insensibilità, maltrattamento (pseudo)-abuso sessuale; ne consegue un ostinato rifiuto di frequentazione di un genitore

  • Il rifiuto, non ha un diretto nesso di causalità con le manovre o i  condizionamenti del genitore alienante ma
  • rappresenta un sintomo di una situazione clinica complessa che il bambino mette in atto per proteggersi dalla sofferenza [pensare al rifiuto come l’elemento centrale è come considerare solo la tosse nella polmonite] Con questa lettura facciamo uscire il bambino da una visione unilaterale:
  • o di vittima innocente delle manovre degli adulti o
  • come caparbio onnipotente  braccio armato, vendicatore del genitore, considerato, programmante. 6. Il profilo evolutivoNel  ripercorrere la storia transgenerazionale della coppia e ricostruendo il profilo evolutivo dei minori,  nella maggior parte dei casi osservati,  le radici del disagio possono farsi risalire fin dalla gravidanza e ai primi anni di vita. A volte non percepiti come individui differenziati  ma  emanazione del corpo materno ,o con un paterno debole che non è riuscito a sciogliere la fisiologica simbiosi madre- figlio, sono assenti  nella mente dei genitori fin dalla gravidanza e continuano a restarne assenti, anche quando i genitori si separano e  non vengono riconosciuti nella loro realtà e nei loro bisogni evolutivi .

L’osservazione della loro storia, fa tracciare un profilo evolutivo già danneggiato fin dalle prime fasi dello sviluppo, con

  • un incompleto processo di separazione-individuazione
  • fragilità nella costruzione della certezza dei legami
  • e, quindi, una particolare sensibilità a tutto ciò che nella sua vita minaccia le garanzie affettive e la certezza dei legami affettivi.

La rottura del legame tra i genitori  e  l’intensa conflittualità  fanno riemergere nel bambino, in modo patologico, ansie arcaiche abbandoniche, angosce persecutorie e depressive. La mancanza di punti di riferimento chiari e rassicuranti,  costringono a cercare a qualsiasi prezzo  la garanzia e la certezza di almeno un riferimento affettivo stabile.

In occasione della separazione dei genitori ad alta conflittualità, il bambino, se è troppo esposto a angosce catastrofiche, distorce il proprio sviluppo per evitarle. Con la  separazione dei genitori, ha il timore di perdere le garanzie affettive e di cura e  di perdere  punti di riferimento chiari e rassicuranti. Questi sentimenti penosi lo costringono a cercare di individuare da chi ,minimamente, può avere la garanzia e la certezza di almeno un riferimento affettivo  stabile, a qualsiasi prezzo, ed utilizza modalità “adesive” come tattiche per la sopravvivenza.

Il bambino  si difende dalla sofferenza attraverso meccanismi di:

  • regressione alla fase simbiotica;
  • scissione , proiezione, idealizzazione (=identificazione  proiettiva). ll genitore interno è scisso in buono /cattivo;
  • distanziamento affettivo (con congelamento delle emozioni), così egli, apparentemente, sembra sereno
  • distorsione dei processi di memoria

Questo funzionamento difensivo dalla sofferenza lo porta a sviluppare sfiducia negli attaccamenti e nella sua vita rischia di rifiutare anche l’altro genitore, e lo ripeterà nei legami della sua vita.

Ed ora analizziamo ogni singolo punto

 6.1. La regressione  alla fase simbiotica

La relazione simbiotica è considerata da diversi autori una tappa fondamentale e necessaria nello sviluppo del bambino: presente dalla nascita, tende a risolversi fisiologicamente nel corso dello sviluppo del bambino. Questo iniziale rapporto esclusivo con la madre è necessario per la sopravvivenza sia fisica sia psicologica nelle prime fasi di vita. L’unità è il due, ed è grazie a questo e  al suo scioglimento che il bambino comincia ad intuirsi ed a rappresentarsi. Questo gli permette gradualmente di individuarsi e riconoscersi come altro rispetto a lei; promuove lo sviluppo delle capacità di “spontaneità, consapevolezza ed intimità” che rappresentano la salute mentale.

Ma la relazione simbiotica va sciolta con il passaggio dal rapporto duale al triadico attraverso il faticoso passaggio verso l’individuazione. Con la presenza del terzo, il paterno, viene scoraggiata la persistenza  del rapporto duale esclusivo simbiotico. Favorisce la crescita in cui «il terzo» espresso dal padre rappresenterà le relazioni «altre», col mondo.

I diversi esiti di questo percorso evolutivo

  • la risoluzione del rapporto fusionale simbiotico può essere  impedita :la differenziazione sé-altro non si realizza;altre volte
  •  la fase della differenziazione viene raggiunta solo parzialmente : il bambino, nei momenti minacciosi della sua vita, può regredire alla fase simbiotica per  garantirsi almeno la (illusoria) certezza di un legame-La regressione:Il bambino torna regressivamente alla antica esperienza di simbiosi, fa  un patto di fedeltà col genitore con cui si simbiotizza, avrà l’illusione della garanzia del legame, ma, si fonde con i suoi  pensieri e vissuti ecc.6.2. La scissione il genitore interno è scisso in buono /cattivo; attraverso un meccanismo di identificazione proiettiva si attiva una idealizzazzione: quello scelto è idealizzato come  buono, mentre, attraverso la proiezione, quello cattivo viene proiettato, riconosciuto e tale trattato in quello che poi rifiuta. Cosi il bambino appare sereno. In modo esplicito,il genitore rifiutato è vissuto persecutorio, ma in modo implicito, anche il genitore scelto è vissuto persecutorio ma,  per proteggersi dalla sua pericolosità,  lo idealizza e  sviluppa una [psicosi]simbiotica 6.3. Il processo di distanziamento affettivoPer evitare di soffrire, congela le emozioni e Interrompe o rinuncia al legame con uno dei genitori , rifiutandolo. Per mantenere efficace la difesa utilizzerà questo funzionamento in modo generalizzato ogni volta nella vita dovrà contattare il colore delle emozioni 6.4. Le distorsioni  di  memoriaAttraverso la fusione simbiotica si spalma sui discorsi e i sentimenti, espliciti ed inespressi,  del genitore simbiotizato; aumenta fortemente  la suggestionabilità ; assume informazioni sbagliate  sugli eventi ; distorce, modifica irreversibilmente il ricordo ,il vissuto e il giudizio degli eventi stessi;  colma i vuoti con le narrazioni del genitore con cui è simbiotizzatodistorce i ricordi in due sensi
  • nel ricordare informazioni sbagliate anziché informazioni corrette
  • nel cancellare le informazioni corrette
  • Nella con-fusione simbiotica si inseriscono informazioni non vere nella memoria del bambino il quale può “ricordare” successivamente le informazioni acquisite, anziché’ le informazioni  autentiche originarie (questa è una condizione grave quando c’è una accusa non veritiera di matrattamenti o abusi sessualiLe differenze dell’assetto emotivo nel bambino
Nel bambino nelle separazioni conflittuali Nel bambino PAS
Cerca e chiede  di mantenere la relazione con entrambe i genitori interrompe rinuncia al legame con uno dei genitori, rifiutandolo. Si allea con  l’altro genitore
Ha emozioni molto intense e dolorose e si illude di mediare Congela le emozioni. Non sente i conflitti
Non si sente sereno è sereno(apparentemente!!) se non incontra il genitore rifiutato
È sopraffatto dai sensi di colpa di essere responsabile della separazione non ha sensi di colpa (malgrado le cose terribili che dice del genitore rifiutato)

Da una visione generale dello schema si evidenzia come il bambino sofferente la separazione ha un funzionamento  di tipo nevrotico, mentre il bambino PAS ha un funzionamento psicotico o perverso.

 7. La psicodinamica inconscia  del bambino rifiutante-

Si costringe a scegliere e schierarsi dalla parte di un genitore, rifiutando contemporaneamente l’altro, una scelta che porta alla perdita affettiva di genitore e che viene vissuta dal bambino come un lutto da lui stesso causato. Costretto a fare affermazioni in cui parla in termini esclusivamente positivi di un genitore e totalmente negativi dell’altro, il bambino non attacca solo il genitore reale, ma anche la corrispondente immagine interna.

Quando il bambino è spinto a rinunciare all’incontro con il genitore non affidatario, ciò non è dovuto al timore o al rifiuto delle sue caratteristiche personali e del loro rapporto-anche se è ciò che afferma- ma alla percezione di non potersi appoggiare a lui e alla paura di perdere l’appoggio dell’altro genitore, percepito non come il migliore genitore, ma come il genitore più forte ; ha  bisogno di instaurare con questo  un rapporto di tipo fusionale, esclusivo ed idealizzato, scevro da conflitti e tensioni, incentrato sul comune bisogno di cancellare un passato doloroso e sofferto per entrambi

Esaminando questi bambini è sorprendente riscontrare che, paradossalmente, nel loro mondo interno, a livello intrapsichico, hanno un gran desiderio del genitore rifiutato.  Il desiderio è così ”divorante”, e minaccioso che -in un funzionamento d’identificazione proiettiva- lo riconosce proiettivamente nel genitore rifiutato, che , cosi, diventa il minaccioso.

Il bambino fa di tutto per  proteggersi dalla sofferenza ,ma poi il rifiuto-perdita di un genitore è percepito  come un abbandono, e, implicitamente, il genitore è colpevole di non esser sufficientemente forte da non farsi escludere. L’introiezione di un vissuto di abbandono attiva poi l’ansia e il timore di essere abbandonato anche dall’altro genitore. S’innesca in tal modo una catena che porta a una difficoltà o incapacità a stabilire rapporti affettivamente importanti per il timore di essere sempre abbandonati.

Se un genitore che favorisce questi atteggiamenti scissi, non si rende conto del proprio potenziale danneggiante, né comprende che quando il figlio si accorgerà di essere usato, la sua fiducia nel genitore ne sarà danneggiata e con essa anche l’immagine interna. Quando un bambino è costretto a negare e a rinunciare a uno dei due genitori, non rinuncia solo alla persona fisicamente percepibile, ma anche all’attivazione dell’immagine interna corrispondente a quella persona. La distruzione dell’immagine di un genitore si correla poi al danneggiamento dell’immagine dell’altro genitore.

In tal modo il vissuto di perdita e di danneggiamento, riguarderanno le immagini interne di entrambi i genitori. La distruzione delle immagini genitoriali determina effetti negativi sulla personalità del bambino. L’esperienza clinica mostra come l’esclusione del genitore, la svalutazione del genitore allontanato, la continua messa in dubbio della fedeltà del bambino sono situazioni che, protratte nel tempo, portano allo sviluppo di varie psicopatologie o disturbi del comportamento.

8. Quali gli esiti?

  •  con la persistenza della condizione simbioticaàfolie-a.deux, con chiusura al mondo
  • per i vissuti di perdita e lutto e  angosce abbandonicheà patologie depressive
  • Con la distorsione del rapporto con la realtà, meccanismi difensivi di scissione e negazione àpatologie area psicotica (paranoica,delirio lucido,altro)
  • Dis-controllo degli impulsi dall’adolescenza(incontinenza aggressiva)
  • fobia sociale
  • comportamenti antisociali
  • insuccesso  scolastico/lavorativo
  • insuccesso affettivo(ripetizione nella vita della esclusione dell’altro)[problemi di identità sex]Se osserviamo il bambino , allora, possiamo superare la diatriba sul riconoscimento o meno della PAS, (che possiamo chiamare come si vuole) e se spostiamo l’attenzione sul bambino, possiamo tradurre la diagnosi di PAS in diagnosi psicopatologiche (psicosi simbiotica,delirio lucido,depressione,ecc) centrate sul bambino che hanno le credenziali anche della società scientifica e inserendola, comunque, nella diagnosi di abuso all’infanzia.Gli effetti danneggianti non cessano con i procedimenti legali o di protezione ma continuano nel mondo interiore dove la psiche danneggiata diventa un’energia auto-distruttiva e nella vita concreta si  ritrova in situazioni, sia positive che problematiche  in  cui  viene  di nuovo danneggiata.

9. Come intervenire

Queste considerazioni ci impegnano a chiederci su quale ambito dover lavorare :sul diritto e i bisogni dei genitori o sul bisogno e il diritto alla salute emotiva del minore? Queste due aree del diritto spesso sono in conflittoPer non fermarsi a essere solo di supporto alle strutture giudiziarie, a svolgere  solo interventi,   valutativi e di protezione, e tentare gli incontri protetti per riavvicinare il bambino al genitore rifiutato ma anche per occuparsi del diritto alla salute emotiva dei minori proponiamo di pensare ad un modello di integrazione degli interventi con una “presa in cura “ che pone il bambino al centroRazionale dell’intervento

  • Clinicamente ,il minore, ha un disturbo manifesto della relazione col genitore rifiutato vissuto persecutoriamente                                      

Ma ha anche;

  • un disturbo della relazione con l’altro  con cui ha una relazione simbiotica per proteggersi dalla sua pericolosità ed avere la garanzia degli attaccamenti
  • apparentemente sereno  ha un funzionamento mentale gravemente danneggiato i cui esiti si evidenzieranno immancabilmente entro l’ adolescenza .Cioè
  • Patologica è la relazione con  entrambe i genitori(patologia interpsichica)
  • È patologico il funzionamento individuale del bambino(patologia intrapsichica) 

10. Obiettivi del progetto terapeutico

Ricostruzione della relazione con entrambi i genitori, con un trattamento della loro patologica relazione (è una terapia genitori-bambino che noi chiamiamo “mediazione terapeutica genitori-bambino” e che è diversa dagli “incontri protetti”)

  • lavoro sui genitori reali  e sulle loro risorse per garantire ,per quanto possibile ,la relazione del minore con entrambe i genitori e spostare le loro energie dalla loro lotta ai bisogni di salute del figlio,attraveso un percoso di mediazione terapeutica dei genitori
  • Mantenere ,con qualunque strumento, la continuità del legame genitori-figlio
  • Trattamento della patologia intrapsichica del bambino ,con una psicoterapia a orientamento psicodinamico, con l’obbiettivo di attivare i processi  riparativi del mondo interno e della famiglia interna e al superamento del funzionamento difensivo patologico(l’uso della simbiosi, della scissione, della identificazione proiettiva, della negazione ,del distanziamento affettivo)

 11. La terapia

Mentre negli abusi è spesso il clinico o il professionista dei bambini (medico, psicologo, insegnante ecc) che attiva l’intervento della magistratura,nel caso di questa patologia ,quasi sempre è la magistratura e soprattutto  i consulenti tecnici di ufficio a individuare con la diagnosi di PAS (o diagnosi similari) il problema ad inviare ai servizi e prescrivere l’intervento terapeutico. Ma questo è di difficile realizzazione sia perché i servizi publici non hanno sufficenti risorse professionali per realizzare un progetto così complesso sia perchè l’avvio del percorso terapeutico contrasta con il percorso legale ed è predisposto a fallire. L’obbiettivo prioritario del trattamento è la prevenzione dei fallimenti terapeutici, perché seppur si entra nella logica della terapia, poi questa presenta molte difficoltà per attuarla.I nostri fallimenti e l’osservazione dei fallimenti degli altri gruppi,sono stati un importante laboratorio per analizzare  e riflettere sulle cause di  fallimento e riflettere su ciò che ha funzionato quando si è  fatto  un buon percorso terapeutico. Da tale riflessione abbiamo sintetizzato che i fallimenti  provengono:

  • dalla parte dei genitori
  • dalla parte del bambino
  • dalla parte dello staff terapeutico
  • dalla parte della rete dei servizi e  dell’intervento giudiziario
  • dalla parte dei genitori

Se si dà uno spazio terapeutico da cui si debba poi riferire ai servizi affidatari e alla magistratura: se i genitori sanno o immaginano che ciò che avverrà in terapia sarà oggetto di valutazione, e che si riferirà all’esterno, si disporranno o ad una finta terapia o la mineranno rendendola inattuabile.Intrappolano i terapeuti nella lotta, tentano di usare lo spazio terapeutico come palcoscenico del conflitto ,come in  tribunale; esibiscono le loro “carte”, le cons  spazio terapeutico per trovare la soddisfazione pulsionale della loro aggressività.Sarà possibile lavorare in uno stato di “frustrazione pulsionale” in cui lo staff terapeutico non legge nulla della loro lotta ma opera su ciò che evidenzia clinicamente nel qui ed ora.  Se, dopo una valutazione dell’assetto emotivo del bambino, riusciranno ad essere centrati, esclusivamente, sul disagio del figlio e riusciranno a rinunciare a cercare la loro soddisfazione pulsionale e il loro funzionamento perverso; cioè se reggono il carattere frustrante della terapia, diversamente da ciò che avviene nella contesa legale, che viene riletta come espressione del loro sintomo .-dalla parte del bambinoNon accetterà di lavorare se non è sostenuto e incoraggiato al lavoro terapeutico da entrambe i genitori,che debbono portarlo in terapia non perché è stata prescritta dai servizi o dal giudice ma perché sono consapevoli  del rischio evolutivo de figlio.Farà una finta terapia se riceve da  uno dei genitori ,quasi sempre l’affidatario, un  doppio messaggio in cui ,a livello esplicito, lo sollecita ma a livello implicito gli disconferma il valore di andare in terapia.Se sà o immagina che ciò che accadrà e dirà, potrà essere utilizzato da altri professionisti per decidere il suo collocamento, proporrà anche in terapia, sin dagli incontri valutativi, il ruolo recitato in altri contesti, o si opporrà alla terapia come si oppone alle frequentazioni del genitore.Se ,in terapia, riconosce in lui il desiderio di frequentare il genitore rifiutato e immagina che venga riferito, non potrà contattare ed  esprimere questo contenuto perché sentirà nella terapia di venir meno al patto di fedeltà al genitore con cui si è simbiotizzato, teme  di perderne le garanzie.Rifiuterà la terapia se è sentita persecutoriamente minacciosa dell’assetto difensivo che ha attivato per evitare di soffrire.Potrà accettare la terapia se riesce a riconoscere le aree di disagio che porta e non perché dovrà riavvicinarsi al genitore rifiutato, se è lui parte attiva a fare il contratto terapeutico, ma ,soprattutto, se riesce ad avere la certezza che col suo terapeuta  non potrà parlarci nessuno ne, alcun contenuto che dovesse emergere potrà uscire dalla stanza di terapia.

-Dalla parte del team  terapeutico

Nella storia della psicoanalisi, alcuni noti autori  hanno enunciato quello che dovrebbe essere  l’assetto emotivo e comportamentale dello psico-terapeuta: Freud raccomandava neutralità ed astinenza, Bion di accostarsi senza memoria e desideri, la Kalff, con mente vuota, libera da giudizi e pre-giudizi” ,cioè si dava enfasi a quello che era la soggettività del terapeuta, cioè il controtransfert: il controtransfert, che può far fallire e l’intervento Anche i clinici a volte vengono calamitati da una voieristica attrazzione di sapere quali siano gli elementi della contesa se la fanno raccontare dagli utenti o dagli altri professionisti, leggono «le carte», le CTU, le CTP, il carteggio processuale, ecc.. O per aderire al rispetto del lavoro di rete dialogano con gli altri professionisti che si occupano del caso (esempio i servizi affidatari), ed immancabilmente  vengono messi a conoscenza di informazioni  riservate,ovvero vengono triangolati  in segreti : a così la terapia fallisce perché non si può fare psicoterapia con i segreti.

Ancor prima di osservare e riconoscere la complessità delle emozioni in campo con il loro ascolto, con i loro occhi e con il loro assetto emotivo, si inseriscono nella mente dello staff terapeutico dei “corpi estranei”, come:

  • i giudizi di altri professionisti, delle CTU delle CTP, le disposizioni dei magistrati (che sono basate necessariamente sulla scissione: «o-o», competente/incompetente, alienante/alienato, sano/folle ecc) che lo predispongono a leggere i fatti con gli “occhiali” di ciò che ha saputo o letto: ma così la  mente del terapeuta è ormai occupata da “giudizi e pre-giudizi” che  gli minano la interiore, “neutralità e astinenza” e l’essere “senza memoria o desiderio”, si attivano emozioni di tipo  identificatorio
  • l’identificazione col bambino(fa una fantasia di dove dovrebbe essere collocato il bambino)
  • l’identificazione col giustiziere ecc, («va tolto da questa famiglia» o pensa  « quel genitore dovrebbe farsi curare!») o pensa ad un intervento autoritario di altri (Servizi sociali,TM), e  perde la giusta distanza emotiva da ciò che emerge dal lavoro clinico-terapeutico in cui Orienta il proprio assetto mentale su giudizi o pregiudizi sui singoli componenti in terapia: comportamenti dei genitori e del bambino, nel contesto clinico-terapeutico non andrebbero  giudicati/valutati  ma riletti come sintomi di un disagio emotivo di tutti i componenti; così perde la funzione terapeutica e la terapia è fallita.

-Dalla parte della rete dei servizi e  dell’intervento giudiziario

quando operano contemporaneamente più servizi-istituzione-professionisti,si enfatizza il “lavoro di rete”che dovrebbe lavorare in modo integrato,a volte inteso come trasmisssione di informazioni e reciproca collaborazione,ma talvolta questa “integrazione” ha dei rischi ela  principale minaccia ripetizione all’interno dei servizi dei “giochi” relazionali patogeni delle  famiglie, come conflittualità tra professionalità diverse; col rischio di incarnare e agire i meccanismi patologici (interpersonali e intrapsichici) veicolati dalle componenti patologiche dell’utente.  Si rischia di ripetere il funzionamento scisso attraverso interventi -contraddittori, non coordinati e -unilaterali che privilegiano il tema sociale o giudiziario o clinico o la sofferenza emotiva:se si privilegia solo una parte quella trascurata o mantenuta scissa farà fallire l’intervento!. Una rilettura del concetto di “integrazione” potrebbe  essere non tanto sapere tutto di tutti o sperare che altri facciano ciò che non si riesce a fare, ma avere una chiarezza su chi fa che, rispettandone obiettivi e competenze  e tollerarne le carenze e fragilità.Si propone un esempio tratto dalla nostra casistica:-Il team curante in doppio legame:Il servizio affidatario e il magistrato hanno necessità d’informazioni che chiedono/pretendono dal  team curante per assumere delle decisioni e chiedono ai terapeuti informazioni sull’andamento della  terapia, sui contenuti emersi, nonché indicazioni; i terapeuti, cosi, son posti in un doppio legame: se rispondono alle necessità dei servizi e del magistrato vengono meno alla alleanza terapeutica che poggio sulla garanzia della riservatezza e cosi la terapia fallisce, se restano fedeli al contratto terapeutico che poggia sulla riservatezza  per non far fallire il processo terapeutico viene riletta come  non collaborazione o come una sorta di  aristocrazia terapeutica.-Dalla triangolazione dl minore alla triangolazione dei genitoriIn alcuni casi, ha orientato, servizi e magistrato, a non riporre più fiducia nel  team curante, e ad affidare il caso ad un altro gruppo più aderente alle loro necessità; si ripropone così, anche nella “rete” il funzionamento patologico degli utenti: cosi come i genitori triangolavano il figlio, così i genitori  vengono triangolati dalle necessità dei servizi e scissi tra  un team compiacente e un team riservato.A differenza di altri professionisti, il clinico-terapeuta  non ha il compito di accertare la “verità”, ma debba invece lavorare nel dubbio, nell’incertezza, nella complessità della natura umana, compresa la propria.

Rendersi conto di queste fondamentali differenze tra l’intervento clinico e quello sociale-giudiziario, permette di evitare fraintendimenti, confusioni e sovrapposizioni, aiutando ciascun professionista a rimanere nel proprio ambito di competenze, che devono essere confrontate ma non omologate, per realizzare un intervento davvero multifocale e integrato, in cui sia centrale il riconoscere il diritto alla cura per  prevenire che i minori oggi danneggiati siano gli adulti psicopatologici e domani danneggianti i propri figli  .

La carenza di risorse economiche e professionali non può più giustificare la scelta di risolvere con interventi esclusivamente sociali e giudiziari un disagio che dovrebbe avere una risposta terapeutica.

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