Per i casi di alienazione parentale grave – quelli in cui i minori rifiutano categoricamente ogni contatto con un genitore – l’unico metodo che ha dimostrato di funzionare nel far recuperare un rapporto normale a figli e genitori è Family Bridges del dottor Richard Warshak. L’articolo che descrive questo metodo è stato interamente tradotto in italiano. Ciò ha fatto nascere molte speranze, tanto è vero che si è tentato di avviare anche in Italia una iniziativa analoga.
Tuttavia per capire il meccanismo fondamentale che ha reso efficace questo programma è necessario approfondire nei dettagli i presupposti su cui è basato, per non cadere in facili illusioni.
C’è un punto che va analizzato molto attentamente. Nel precisare i prerequisiti che rendono un minore alienato un candidato adatto per il suo programma, Warshak individua alcuni requisiti negativi. Ecco il passo che precisa quando un minore non è adatto al programma Family Bridges. Sottolineiamo qui il caso 3:
Questo programma non è adatto a tutti i figli che rifiutano un genitore. Non è adatto nei seguenti casi: […] (3) casi di famiglie in cui i figli che rifiutano un genitore continuano a passare la maggior parte del loro tempo lontano da quel genitore,o – presumibilmente – potranno stare con il genitore rifiutato solo per un breve periodo di tempo prima di tornare alla casa del genitore favorito.
Cosa significa questa precisazione? Significa che il programma non è un sistema miracoloso che grazie al solo carisma dei curatori riesce a far cambiare idea ai minori nel giro di pochi giorni. Il sistema funziona nella misura in cui il minore sa che al termine del programma verrà data applicazione alla decisione del giudice che lo obbliga a risiedere con il genitore rifiutato allontanandosi dalla custodia del genitore favorito.
Il programma Family Bridges quindi serve a rendere possibile l’applicazione di una decisione del giudice che è già stata presa ed è certa nella sua applicazione, come viene precisato nell’elencare i requisiti positivi per l’ammissione al programma:
E un’opzione da considerare per una famiglia in cui: […] (3) la famiglia ha bisogno di aiuto per adeguarsi ad un ordine del tribunale che affida il figlio alle cure del genitore rifiutato e sospende il contatto tra il figlio e l’altro genitore fino a quando saranno soddisfatte condizioni specificate.
In conclusione, possiamo trarre una considerazione molto importante: non esistono terapie miracolose per fare cambiare atteggiamento ai minori che rifiutano un genitore. O meglio, esistono nella misura in cui il giudice entra nel gioco e fa valere la sua autorità, come se si trattasse di imporre ad un tossicodipendente un periodo in una comunità di recupero. A quel punto l’azione dei terapeuti può dimostrarsi molto efficace nel mostrare al minore l’insensatezza del suo rifiuto. Ma in assenza della prospettiva di un trasferimento dell’affido del minore dal genitore favorito al genitore rifiutato, il minore persisterà nel suo rifiuto anche se sottoposto a terapie e interventi di sostegno. Questo è il motivo per cui Warshak non accetta questi casi nel suo programma: perché sarebbero candidati al fallimento sicuro.
Questa considerazione andrebbe tenuta in evidenza anche in Italia (dove non esiste ancora un programma efficace come Family Bridges) da CTU, assistenti sociali e magistrati quando prescrivono come rimedio all’alienazione parentale grave periodi di terapia o incontri in spazio neutro. Se il minore continuerà a vivere con il genitore alienante questi interventi saranno, nella migliore delle ipotesi, inefficaci, e talvolta cotroproducenti, come è spiegato molto bene nell’articolo di Warshak che invitiamo a leggere attentamente.