La separazione dei genitori è un evento traumatico per l’intero sistema familiare, in modo particolare per i figli, tanto più intenso, quanto minore è la loro età. La nuova situazione impone la rielaborazione del rapporto tra i due ex coniugi e con i figli. La coppia deve prendere atto del fallimento del loro rapporto e, ciascuno per proprio conto, elaborare i sentimenti di dolore, rabbia, paura che la rottura dell’equilibrio determina.
Se c’è una perdita sul piano coniugale, non ci deve essere una perdita su quello genitoriale. E’ necessario che gli ex coniugi continuino a svolgere il ruolo di padre e madre nell’interesse della salute fisica e psicologica dei loro figli. Il danno maggiore non è determinato dalla separazione, ma dalla conflittualità tra i coniugi, che cercano nei figli i naturali alleati per contrastare il “genitore cattivo”. La conflittualità è l’elemento cardine che impedisce di “vedere” i bisogni reali dei figli indotti dalla nuova situazione.
Spesso la separazione innesca dei sentimenti di odio nei confronti del partner che è ritenuto responsabile della rottura del legame, determinando, a cascata, una serie di comportamenti estremamente dannosi per i figli, che sono la parte più fragile del sistema-famiglia.
Richard Gardner (1985) utilizzò questo termine per indicare un disturbo psicopatologico dei soggetti in età evolutiva (tra i 7 e i 14-15 anni), conseguente al trauma della separazione dei genitori. A determinare la PAS concorrono due fattori. Il primo è rappresentato dall’indottrinamento (lavaggio del cervello) da parte di uno dei genitori (genitore alienante), che, mosso da odio nei confronti dell’ex partner, mette in atto una serie di comportamenti mirati a svalutare e denigrare l’altro genitore (genitore alienato). Il secondo fattore è costituito dalla partecipazione attiva dei figli alla campagna di denigrazione nei confronti dell’altro genitore che viene odiato e pertanto escluso dalla loro vita.
La PAS è caratterizzata da otto sintomi primari che sono riscontrabili nei figli con lo scopo di rendere sempre più saldo il legame con il genitore alienante (più frequentemente la madre che è spesso l’affidataria dei figli), per escludere il genitore alienato.
1) La campagna di denigrazione: i figli manifestano nei confronti dl genitore alienato un costante e continuo atteggiamento di critica e di accusa che non viene messo in discussione dal genitore alienante, come una forma di mancanza di rispetto, ma spesso favorito ed incoraggiato.
2) La razionalizzazioni debole: le argomentazioni portate dai figli a giustifica del loro rifiuto per il genitore “odiato”, sono illogiche o quanto meno superficiali.
3) La mancanza di ambivalenza: c’è una assoluta demarcazione di giudizio, il genitore affidatario è “tutto buono”, l’altro è “tutto cattivo”.
4) Il fenomeno del pensatore indipendente: i figli lasciano intendere che i sentimenti di avversione e le idee sul genitore alienato sono frutto di una loro elaborazione e non dell’influenza del genitore alienante.
5) L’appoggio automatico al genitore alienante: i figli accettano acriticamente le tesi e i comportamenti del genitore alienante.
6) L’assenza di senso di colpa: i figli non provano alcun senso di colpa per l’atteggiamento ostile nei confronti del genitore bersaglio del loro odio.
7) Gli scenari presi a prestito: i figli in genere usano espressioni o termini, per sottolineare le colpe del genitore alienato, che normalmente non fanno parte del lessico abituale o non sono conosciute per l’età.
8) Estensione dell’ostilità: il contesto all’interno del quale si manifesta la contesa coniugale travalica i limiti della famiglia nucleare per allargarsi a quella di origine per estendersi ad amici e conoscenti. Tutti ciò produce la formazione di due schieramenti opposti, ognuno dei quali è fermante convinto che i “cattivi” siano gli altri. La sequela di eventi che si possono scatenare è imprevedibile, ciò che rimane è che al vincolo d’amore che univa i due coniugi si sostituisce un vincolo d’odio con il suo corredo di vendetta/risarcimento che potrebbe non finire mai, un po’ come il “finché morte non vi separi”.
Il quadro descritto presenta livelli diversi a seconda della gravità delle manifestazioni osservate: si distingue: Grado lieve, moderato e grave.
Grado lieve: in questo caso i bambini presentano manifestazioni superficiali degli otto sintomi primari della PAS. In tale stadio vi può essere ancora spazio per una relazione affettuosa con il genitore alienato. E’ possibile che il genitore alienante reagisca a questo stato di cose in vario modo:
A) Dando scarsa importanza agli incontri con l’altro genitore, non curandosi delle emozioni e dei resoconti riportati: Non voglio sapere nulla di quello che fai con lui/lei, sono cose vostre.
B) Manifestare chiaramente la decisione di non partecipare ad eventi in presenza dell’altro: “al tuo compleanno se viene lui/lei non vengo io”.
Grado moderato: sono presenti tutti e otto i sintomi seppure in maniera non pervasiva. E’ presente il concetto di figura totalmente negativa del genitore alienato e della sua famiglia di origine. Manca qualsiasi accenno a sensi di colpa per l’eventuale sofferenza indotta dai suo comportamenti nei confronti del genitore “cattivo”. Spesso il bambino, nel caso debba passare del tempo a casa di questo genitore, si lamenta con il genitore affidatario, ma poi si lascia coinvolgere dall’altro genitore. Il genitore alienante reagisce a tutto ciò:
A) Disapprovazione delle visite.” Ogni volta che stai con lui/lei sai bene come mi sento”.
B) Rifiuto di ascoltare qualsiasi rendiconto sulle visite.
C) Espressione di piacere e soddisfazione in caso di cattive notizie che riguardano l’ex coniuge.
D) Rifiuto a concedere una vicinanza fisica all’altro.
E) Aperto rifiuto di ogni tipo di comunicazione anche telefonica.
F) Eliminazione di oggetti che riguardano l’altro.
Grado grave: in questo livello i bambini condividono le fantasie paranoidi del genitore alienante. Gli otto sintomi sono presenti in maniera più marcata rispetto al livello precedente. Il bambino nell’incontrare il genitore alienato ha una reazione di rifiuto con pianti e strepiti che rendono l’incontro impossibile. Il risultato finale è che il bambino vive una relazione esclusiva con il genitore affidatario, mentre l’altro viene praticamente estromesso dalla relazione e finisce, col tempo, per evitare gli incontri.
Gli effetti della PAS dipendono:
1) Dal tipo di tecniche adottate nel lavaggio del cervello.
2) Dall’intensità con cui viene portato avanti il programma di demolizione dell’altro genitore
3) Dall’età del bambino e quindi della fase dello sviluppo.
4) Dal tempo di durata del conflitto coniugale.
Gli effetti sullo sviluppo psicologico dei figli non è mai favorevole.
Questi ragazzi, sviluppando durante tutta la fase di conflittualità genitoriale, una grossa ostilità, alla quale viene dato ampio spazio, e soprattutto, connotata positivamente, finiscono per ricercare nei rapporti sociali ed affettivi modalità antagonistiche. Nelle relazioni si mostrano irrispettosi, non collaboranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili, vanno male a scuola, fanno della manipolazione uno strumento relazionale. Spesso presentano disturbi dell’identità, sovente della sfera sessuale.
Sono estremamente fragili alle perdite ed ai cambiamenti. Continuano a considerare tutto buono o tutto cattivo il rapporto con figure significative. La perdita del genitore alienato, spesso scoraggiato dal rifiuto dei figli, rappresenta una perdita di raffronto con la realtà per cui si finisce per accettare la lettura proposta dal genitore alienante.
Come già sottolineato in precedenza la separazione rimane per tutti i componenti della famiglia un evento traumatico di dimensione variabili, che si amplifica per coloro che nella vita hanno dovuto subire delle “perdite” con le quali non hanno fatto i conti. Sono questi i casi in cui l’evento separazione diviene un macigno intollerabile. La sofferenza che ne consegue viene percepita come impossibile da sopportare e quindi la persona per placarla la trasforma in una rabbia esplosiva che vuole solo la distruzione dell’altro.
La persona si scoordina completamente, assume atteggiamenti e decisioni che in passato non avrebbe mai preso perché ritenute non confacenti al proprio schema di vita. Si sa che in guerra saltano tutti gli equilibri ed i principi morali. In queste condizioni la possibilità di coinvolgere i figli come alleati nella disputa diventa una necessità irrinunciabile. La capacità critica sui danni e le sofferenze che si possono procurare ai figli manca completamente. La persona vive tutto il conflitto come una guerra giusta nella quale non si può guardare tanto per il sottile, “niente per me”, “niente per nessuno”. Diventa una questione di sopravvivenza psichica.
E’ evidente che per evitare danni occorre interrompere questo circuito perverso. Diventa quindi di fondamentale importanza aiutare queste persone ad elaborare la nuova e la vecchia sofferenza, la rabbia, l’impotenza e ad assumere atteggiamenti da genitore-adulto che riesce a contenere i propri sentimenti senza sversarli sui figli e a ritenere che l’altro, il “nemico” è ancora necessario, anzi indispensabile nel processo di crescita psicologica dei propri figli.
Occorre acquisire la mentalità che la separazione non distrugge la famiglia, anche se il vissuto comune va in questa direzione, ma la ridefinisce con nuove regole e nuovi equilibri, certi vincoli non si distruggono mai. Sta al buon senso e alla maturità delle persone recepire la necessità di ricercare spazi di inclusione e non di esclusione, di conciliare esigenze personali con quelle degli altri membri del nucleo familiare, in definitiva di non smettere mai di lottare per il benessere comune.
La vendetta non ha mai portato nulla di buono né per sé né per gli altri.
Fonte: http://www.psichiatrianapoli.it/articoli/82-psicologia/116-la-sindrome-di-alienazione-genitoriale.html
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