Riflessioni sulla sindrome di alienazione parentale – dott. Roberto Giorgi

Il presente lavoro è il frutto di una disamina dei più recenti contributi internazionali sull’argomento PAS. Pertanto è apparso corretto ed utile in alcuni casi mantenere il termine o i termini utilizzati in letteratura nella loro lingua originale per descrivere eventi, dinamiche, ruoli, modalità di intervento e così via.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE  (pag 31 Dalla disputa all’avversione – dott. Roberto Giorgi)

Al di là delle discussioni e delle argomentazioni sull’esistenza o meno della sindrome PAS e sulla effettiva possibilità di tradurre sul piano operativo la necessaria, auspicata sinergia professionale tra esperti del diritto e professionisti della salute mentale, l’importanza dell’opera di Richard Gardner e dei suoi successori risiederebbe principalmente:

a) nel sostenere l’importanza di un approccio articolato nell’analisi delle molteplici variabili sottese alle ‘child custody disputes’, specie in presenza di un elevato clima di conflittualità e di scarsa/ impossibile collaborazione tra gli ex-coniugi;
b) nell’evidenziare le possibili ‘trappole’ delle varie azioni professionali, quando dovute sia ad una conoscenza superficiale, circostanziale delle situazioni, sia ad un erroneo atteggiamento conoscitivo/ valutativo, rigidamente centrato, ad esempio, sui cosiddetti ‘fattoidi’ ;
c) nel ribadire tanto la necessità di una formazione adeguata e di un aggiornamento continuo per gli stessi professionisti, quanto l’importanza di un approccio statistico-valutativo e di ricerca per la crescita del dibattito scientifico e deontologico.

Può risultare abbastanza semplice, infatti, assolutizzare il desiderio [apparente, n.d.r.] di un figlio di rimanere con un genitore quando l’altro viene considerato in maniera estrema e negativa, senza ipotizzare l’esistenza di un processo di alienazione in atto: la frase posta all’inizio del presente lavoro “Madre Teresa non ha sposato Hitler” sottolinea la necessità di un apposito ‘salto di livello’ in tal senso, anche se diversi Autori sottolineano come ricorrenti errori da parte dei professionisti possano dipendere non solo da un errato atteggiamento valutativo (cfr. de Cataldo, 1997, Gulotta, 1997, Waldron e Joanis 1996, Conway Rand 1997b e Lowenstein 1999b,) ma anche dal mancato rispetto delle norme e delle guidelines vigenti in ambito forense, anche di quelle più elementari.

Il miglior interesse dei minori, come fanno notare Gardner e, tra gli altri, Byrne, Goldwater, Gulotta e Waldron e Joanis, lungi dall’essere un costrutto astratto e noumenico in senso kantiano, deve necessariamente costituire il focus principale di ciascun intervento psicologico e di ogni decreto giudiziario, congiuntamente ad azioni specifiche mirate a mantenere il rapporto genitoriale post-divorzio.  Sia la Convenzione di New York del 1989, che il Canada Divorce Act del 1991, che la Convenzione Europea del 1995, tanto per citare alcuni documenti, sostengono la necessità di tutelare il diritto alla continuità e alla stabilità dell’ambiente affettivo e relazionale per soggetti in età evolutiva ovvero il loro diritto di mantenere relazioni positive e significative con entrambi i genitori e con le rispettive famiglie di origine; in poche parole, il diritto alla bigenitorialità.

In conclusione, la vera ‘sfida’ del futuro appare non tanto quella di verificare o meno l’esistenza della sindrome, quanto quella di sviluppare ulteriormente la già accresciuta consapevolezza sugli effetti della conflittualità genitoriale nelle situazioni di affidamento minorile, attraverso un approccio scientifico, sistemico e specie-specifico all’interno del contesto peritale/ valutativo come contesto interpersonale adeguato.

Documento completo in formato pdf: Dalla disputa all’avversione – dott. Roberto Giorgi

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