Mio figlio come un’arma – Dallanegra e Marranca, Spazio Neutro Milano

L’articolo risale al 2001 quando il concetto di “alienazione genitoriale” era ancora poco conosciuto in Italia. Si tratta di una testimonianza importante del punto di vista degli operatori che hanno a che fare concretamente all’interno del servizio Spazio Neutro di Milano con bambini che rifiutano un genitore. Va sottolineato come in tutto l’articolo non compaia neppure un cenno alla letteratura scientifica sull’alienazione genitoriale. Le autrici si limitano a descrivere in modo “neutrale” alcuni casi verificati nel corso della loro esperienza. Ciò nonostante, non viene nascosta una valutazione molto negativa sulla gravità dei comportamenti di quei genitori che usano i figli come un’arma. Basta a questo proposito una citazione: “Alla parola ABUSO sul Devoto Oli si legge ‘uso eccessivo, illecito o arbitrario di qualcosa… riconducibile all’idea di mancanza di rispetto o addirittura di plagio e violenza.’ Questo è ciò che avviene ai bambini usati come ‘armi improprie nei conflitto, dove la mancata accettazione della separazione, da parte dei genitori, diviene occasione per agiti con effetto traumatico sui figli.

Fonte pdf:  Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol 3. n. 1, aprile 2001 

 

Mio figlio come un’arma

Paola Dallanegra*  Rosangela Marranca**

*Assistente sociale, coordinatrice del servizio Spazio Neutro.
**Psicologa, operatrice del servizio Spazio Neutro.

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol 3. n. 1, aprile 2001

Pietro ha dieci anni. Rientra al servizio dopo un pomeriggio trascorso con il papà. Questi mostra all’ex moglie genitore affidatario, una lettera inviatagli dalla scuola. La signora chiede di consegnargliela; l’uomo si rifiuta. A questo punto gli adulti cominciano a litigare: la madre piange, il padre sollecita il litigio. Pietro, rimasto in mezzo a guardare i genitori, si rivolge all’operatore: “intanto che loro litigano andiamo a giocare”.

Scene come questa rappresentano la sfida con cui gli operatori dello Spazio Neutro quotidianamente si confrontano.

Spazio Neutro è un servizio del Comune e della Provincia di Milano che ha come obiettivo il mantenimento delta relazione tra il bambino ed entrambi i suoi genitori, a seguito di separazioni/divorzi conflittuali o altre vicende di grave e profonda crisi familiare.

Spazio Neutro è quindi un luogo ed un tempo dove esercitare il “diritto di visita”, o meglio il diritto alla relazione(1), uno spazio protetto per la relazione con il bambino, un ambito terzo esterno alle vicende conflittuali.

L’intervento del servizio si fonda sul riconoscere il bisogno del bambino di vedere salvaguardate il più possibile la relazione con entrambi i genitori, i legami che ne derivano, il diritto, quindi, a non perdere parte del suo essere figlio, a non smarrire il senso e la continuità della propria storia.

Tutte le famiglie che giungono al servizio hanno alle spalle sofferenze, rancori, conflitti; i bambini portano con sé un’esperienza di confusione, allontanamento) separazione, abbandono.

Il servizio, investito da un mandato dell’Autorità Giudiziaria, si pone come un “contenitore” alla gestione degli incontri tra bambini e genitori, come figura terza che può dare avvio ad un cambiamento delle dinamiche tra gli adulti, facendo emergere le potenzialità di una relazione più adeguata. L’atto coattivo, infatti, può aiutare gli adulti coinvolti a chiarire e ridefinire le proprie reciproche posizioni e può diventare il segnale inequivocabile della necessità di recedere da comportamenti genitoriali poco adeguati (Bissacco, Dallanegra, 1997).

“Limite e norma, come i padri nelle famiglie che funzionano, possono quindi diventare occasioni per nuove identificazioni e nuove posizioni” (Pozzobalbi, 1999).

A Spazio Neutro accedono situazioni di separazione aspramente conflittuali. Questi genitori appaiono occupati solo a mantenere vivo il livello dei conflitto e, paradossalmente, “uniti” e “vicini” nel bisogno, da ognuno singolarmente espresso, di essere tra i due l’unico genitore capace e buono, a completo e totale scapito dell’altro. “Se l’altro non è più mia moglie o marito, non può essere padre o madre di mio figlio”.

La forza delle emozioni e dei sentimenti in gioco è tale da tradursi nell’impossibilità di separare ruoli e funzioni coniugali da quelle genitoriali.

In questa cornice il bambino non è una persona portatrice di sentimenti, desideri, paure propri, ma un oggetto da inglobare, sottraendolo all’altro per salvarsi e salvare la propria immagine.

Al bambino, pur vincolato ai suoi genitori da profondi legami, non resta che cercare una posizione che gli permetta di vivere con meno angoscia e dolore possibile, adattandosi ad una situazione ai suoi occhi incomprensibile, salvando ciò che può.. .come può.

L’intervento degli operatori di Spazio Neutro si focalizza sul bambino, nel tentativo di dare voce alla sua sofferenza, ai suoi timori, alle sue ansie, ai suoi desideri, nelle forme in cui può accettare di esprimersi, la parola, il gioco, il disegno, la favola. In questo modo il bambino scopre che può affrontare le sue vicende, attribuire il nome appropriato agli avvenimenti, ripercorrere il senso della sua storia personale e familiare, senza tradire coloro che ama.

Il riemergere del bambino come soggetto può aprire la strada alla relazione con il genitore lontano.

Sono orgogliosa di mia figlia!”. Con queste parole la mamma di Sara accoglie il gesto della bambina che sta strappando in mille pezzi la lettera inviatale dal papà che non vede da quattro anni.

Alla parola ABUSO sul Devoto Oli si legge “uso eccessivo, illecito o arbitrario di qualcosa”.. riconducibile all’idea di mancanza di rispetto o addirittura di plagio e violenza (Devoto Oli, 1971).

Questo è ciò che avviene ai bambini usati come “armi improprie” nei conflitto, dove la mancata accettazione della separazione, da parte dei genitori, diviene occasione per agiti con effetto traumatico sui figli. Le condizioni in cui si reiterano questi comportamenti sono tali da non permettere alcuna elaborazione.

Pietro e Sara ci mostrano come si può cercare una via di fuga, come ci si può modellare ai sentimenti di uno dei genitori, come si può correre il rischio di non sentire più i propri, percepiti come inaccettabili.

Gli esempi qui citati possono fornire un’idea di come questi bambini si trovino a vivere esperienze di abbandono, manipolazione, disattenzione, con il rischio di vedere squalificata e denegata la propria percezione della realtà (Pozzobalbi, 1999).

Claudia, nove anni, è una bella bambina bionda, cori un visetto simpatico.

Al primo incontro con l’operatore, mentre dipinge, afferma, sottovoce, di non voler incontrare il suo papà perché “ha fatto del male alla mamma ed è bugiardo: dice che la mamma è pazza e drogata. mentre io ho visto il sangue che mi ha sporcato il pigiama…. Io non lo perdonerò mai”. Poco dopo, racconta un episodio avvenuto venti giorni prima: “io avevo una lumachina; mi piacciono tutti gli animali, ma le lumachine di più. lo la tenevo in una serra, poi la facevo uscire e le davo da mangiare. Io l’ho uccisa e mi dispiace tanto.., lei era entrata in un giocattolo ed io cercavo di prenderla, ma sulle dita mi è rimasto il guscio e lei è morta…sono stata io…”.

Claudia è come una lumachina indifesa, inavvertitamente schiacciata dai genitori.

Ricostruendo la storia di questa famiglia, si scopre che la coppia è arrivata alla separazione in seguito a numerosi episodi di violenza reciproca, sia verbale che fisica, cui la bambina ha sempre assistito. Nell’anno e mezzo successivo, i genitori si sono dati battaglia a colpi di denunce.

All’operatore la madre ha espresso molte perplessità circa l’opportunità degli incontri tra padre e figlia, parlando essenzialmente di sé e della propria delusione relativa al fallimento dell’unione coniugale.

Il padre, dal canto suo, preme per incontrare al più presto la bambina, ma non riesce ad avvicinarsi alle sue paure… Afferma soltanto che “è una bambina odiosa ed antipatica.., perché è stata plagiata dalla madre”.

Claudia, identificatasi con il genitore “buono”, rifiuta il contatto diretto con il padre che, tuttavia, è presente nelle sue fantasie come un’immagine che incute solo paura.

Melanie Klein ha individuato la proiezione e l’introiezione come prime attività dell’Io, presenti sin dall’inizio della vita postnatale. Tali meccanismi sono inoltre presenti nelle fantasie del bambino “che pure funzionano sin dall’inizio ed aiutano a plasmare la sua impressione dei mondo circostante”.

A partire dal “doppio processo di introiezione e proiezione” che “contribuisce all’interazione tra fattori esterni ed interni”, si costruisce il mondo interno del bambino che “è in parte un riflesso del mondo esterno”.

Le interazioni tra il mondo interno ed il mondo esterno, così come i meccanismi di introiezione e proiezione, durano tutta la vita “..,si modificano nel corso della maturazione, ma non perdono mai la loro importanza nella relazione dell’individuo con il mondo che lo circonda” (Klein, 1972).

I figli del conflitto si possono costruire un’immagine interna del genitore affidatario sulla base dell’esperienza diretta: il genitore con cui vivono è quello sul quale riversano sentimenti di gratitudine e bisogni di affetto ed accudimento. Spesso s’instaura una relazione diadica di complicità ed alleanza, che può sfociare in un rapporto fusionale, indifferenziato che mette rischio lo sviluppo psichico del bambino stesso.

L’esclusione del terzo permette alla “nuova coppia” di perpetuare tale modalità di relazione. rifiuto del bambino ad incontrare l’altro genitore tradisce anche l’esistenza di un conflitto di lealtà nei confronti di chi gli garantisce la sopravvivenza ed il timore di subire un secondo abbandono.

Diversamente, l’immagine del genitore lontano si va costruendo sulla base dei pochi ricordi (se ce ne sono), per lo più sommersi ed inficiati dalle vicende che hanno condotto alla separazione. E si configura soprattutto a partire dalle parole e dai sentimenti del genitore vicino, carichi di disprezzo, rifiuto, disistima, svalutazione… Ciò comporta la presenza nel mondo interno dei bambino di immagini pericolose, inaffidabili, abbandoniche che incutono paura e suscitano rabbia, soprattutto se sono riferite a chi l’ha messo al mondo.

I bambini che arrivano allo Spazio Neutro non hanno potuto sperimentare e confrontare tali immagini fantasmatiche con quelle reali; le loro fantasie, con il tempo, sono divenute sempre più temibili e difficilmente affrontabili. Per loro è impossibile, a questo punto, riconoscersi figli di quel “mostro” che ha causato tanta sofferenza.

Marta ha due anni e mezzo. Lascia la stanza dove ha incontrato il papà con un disegno in mano. Lo mostra alla mamma che l’attende in anticamera: “mamma, un oscio” (Marta aveva disegnato un orso). La madre si china sulla bambina e, guardando il disegno. esclama “questo mostro fa proprio paura”.

Andrea, sette anni, e stato affidato al padre dopo che la madre se ne è andata di casa con il figlio maggiore (nato da un precedente matrimonio). Andrea, quando si è avviato a Spazio Neutro, non vedeva la mamma da tre anni.

Gli incontri al servizio sono avvenuti regolarmente per circa otto mesi. Ad un certo punto Andrea ha cominciato a rifiutarsi ad entrare nella stanza dove si svolgevano gli incontri, giustificando il suo rifiuto in questi termini: “non voglio vedere la mamma, non la penso mai, sto bene così… Lei non mi piace, non mi piace la sua voce né la sua faccia, non mi piace niente”.

All’operatrice che gli fa notare una somiglianza con la mamma, il bambino risponde “no, io sono sola… il papà”.

Andrea è arrabbiato con la mamma per l’abbandono subito.

La signora nega la sua responsabilità, convinta che il pianto del bambino sia soltanto un capriccio.

Il padre non dà spazio al figlio per elaborare la sua sofferenza; si sostituisce al bambino affermando che Andrea è proprio come lui. A suo parere Andrea starebbe bene senza vedere la madre; anzi si rifiuta di proseguire gli incontri proprio perché “si è accorto che la mamma è falsa”.

Sa cosa prova il bambino, sa cosa è meglio per lui…

Nel loro rapporto non c’è spazio per nessun altro. Non c’è spazio né per il pensiero né per la sofferenza.

Il percorso di ricostruzione dei legami può essere visto come un’esperienza strutturante di separazione-individuazione attraverso il quale è possibile riconoscere la doppia origine del bambino, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano della realtà e dell’immagine del bambino stesso nel mondo interno dei genitori. Ciò può favorire l’elaborazione del Lutto della separazione coniugale da parte degli adulti.

Si pongono così le basi per una conoscenza migliore della propria storia e delle proprie radici, a partire dalla considerazione che i bambini, spesso, si sentono figli del conflitto e non riescono a pensarsi come il frutto di un incontro d’amore, sia pure finito.

Roberta, nel corso di un incontro drammatico con suo padre, nel quale esprime il desiderio di non vederlo più “in questa prigione”, ad un certo punto, abbassa tutte le tapparelle della stanza: al buio, si siede vicino alla porta ed afferma “comunque i bambini sono figli della mamma.., io sono stata fatta dalla mamma ed il papà non c‘entra!” Scrive poi su un foglio, con le matite colorate, una serie di messaggi al padre: “mi hai stufato… io non voglio vederti perché mi rompi e forse quando muori ti vedrò… perché non mi vuoi lasciare in pace?

Al colloquio successivo con l’operatrice, Roberta afferma di non voler parlare di quel “panzerotto”… In un secondo momento aggiunge “ho paura che mi porti via”. Ribadisce, inoltre, la sua convinzione di essere nata solo dalla mamma “perché ilo papà non mi voleva…l’ho sentito, l’ho chiesto alla mamma e lei mi ha detto che è vero… Io non lo voglio come padre, ne vorrei un altro…”.

La riscoperta delle origini è un tema ricorrente nelle esperienze dei figli adottivi che ad un certo punto della loro storia sentono l’esigenza di “vedere in faccia colui/colei che ha dato la vita”. Se, però, i figli adottivi “devono saper trasportate le proprie radici e trapiantare se stessi come ramo produttivo di un altro albero genealogico”, i bambini che hanno vissuto la separazione ed il conflitto “devono sostanzialmente portare in salvo le loro radici origini” (Cigoli, 998, pp. 240-241).

Spesso, questi bambini pensano che rifiutare l’altro genitore sia l’unica difesa possibile che li ripara dal dolore della perdita, dalla paura di non piacergli, dal timore di essere stato sostituito da qualcun altro nella scala dei suoi affetti…

Ed è quello che tenta di fare Gianni quando dice, riferendosi ai genitori “tanto adesso divorziano e lui non sarò più mio padre”.

In realtà tutti i “Gianni” che vengono allo Spazio Neutro ed aggrediscono, verbalmente e fisicamente, il genitore, hanno bisogno di sperimentare che il cambiamento, conseguente alla separazione, non ha distrutto tutto ciò che è stato prima. “Il bambino ama sentirsi al vertice di un triangolo composto da lui e dai suoi genitori, anche se quel triangolo si inscrive all’interno di una geometria più vasta e complessa” (Bernardini, 1997).

Ed è questo desiderio che spinge Rita, ad un anno dall’inizio dell’intervento, a chiedere al padre “perché tu e la mamma vi siete separati? Ma se la mamma si sposa con Paolo, tu continuerai ad essere il mio papà? “.

Rita ha potuto avere accesso ai suoi pensieri, formulare le sue domande, sostenuta dall’idea che i suoi genitori sono capaci di ascoltarla e risponderle.

Bibliografia:

Bernardini 1.(1997) Una famiglia come un’altra, Rizzoli, Milano.

Bissacco D., Dallanegra P. (1997) Spazio Neutro: restare figlio di entrambi i genitori, Politiche sociali e servizi, 1, pp. 197,201

Bissacco D., Dallanegra P. (1997) I servizi per l’esercizio del diritto di visita, Politiche sociali e servizi, 2, pp. 185-198.

Borgogno F. (1999) Psicoanalisi come percorso, Bollati Boringhieri, Torino.

Cigoli V, (1998) Psicologia della separazione e del divorzio, [ Mulino, Bologna.

Dallanegra P., Mandelli P., Covini P. (1998), L’esperienza Spazio Neutro: un servizio per favorire la continuità genitoriale in situazione di pregiudizio per i bambini, Pianeta Infanzia, 4, pp.43-33.

Marzotto C., Dallanegra P. (a cura di) Continuità genitoriale e servizi per il diritto di visita, Vita e Pensiero, Milano.

Devoto O., Oli G.C. (1971) Dizionario del/a lingua italiana, Le Monnier, Firenze.

Klein M., (1959) Our adult world and other essays. William Heinemannn, Medical Books Lkd, London. Trad.it. Il nostro inondo adulto ed altri saggi, Martinelli, Firenze, 1972.

Pozzobalbi G. (1999) Il bambino giocato, Tesi di laurea presso l’Università Statale di Torino, Facoltà di Psicologia.

Winnicott D.W. ((971) Playing and Reality, Tavistock Pubblications, London. Trad. it. Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974.

Fonte pdf:  Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol 3. n. 1, aprile 2001 

One Comment

  1. Elisabetta

    Buona sera vorrei cortesemente sapere se collaborare con uno spazio neutro vuol dire non poter vedere in bambino al di fuori della struttura

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *