In questa articolo rimasto in bozza Corrado Lo Priore dell’Università di Padova affronta il tema delle denunce infondate di abuso sui minori proponendo che qualora si tratti di forme di maltrattamento dovute a incapacità, imperizia o malizia degli stessi caregiver (ad es. del c.d. “genitore protettivo”) si debba parlare di “abuso inverso”.
L’opera intende colmare un vuoto scientifico sulla definizione del cosiddetto “falso abuso“, una categoria concettuale sempre più spesso chiamata in causa nella giustizia minorile e nella psicologia giuridica, ma apparentemente senza ancora un esplicito accordo degli esperti sugli elementi caratterizzanti e definitori. Si osserva invero che al termine possano corrispondere almeno due interpretazioni principali, delle quali l’una è solo un caso ristretto dell’altra, e che il mancato riconoscimento di questa differenza generi confusione e frequenti equivoci:
- GENERALE – si propone di consolidare l’utilizzo del termine “falso abuso” per indicare tutto l’insieme dei casi segnalati di presunto abuso (sia di natura sessuale, sia di altro tipo), i quali siano stati in seguito ragionevolmente disconfermati dalle procedure di indagine ed accertamento condotte. Rientrano in questa ampia classe tutti i casi di falsi allarmi (o “falsi positivi“) per possibili abusi su minori, compresi (ma non limitati solo a) quelli caratterizzati dalle c.d. “false accuse“, “false dichiarazioni” o “false memorie” di abuso. Nel presente articolo verranno tracciati inoltre i confini di questa classe rispetto all’abuso vero e ad altre categorie come il c.d. “abuso sommerso”;
- RISTRETTA – negli ultimi decenni, l’intera categoria degli esperti di abuso ha dato crescente attenzione ad un controverso sottoinsieme di casi di presunto abuso poi rivelatisi falsi, nei quali lo studio psicologico e/o l’investigazione giudiziaria abbiano messo in luce non solo l’insussistenza delle violenze nella forma inizialmente presunta, ma al tempo stesso l’emergenza di altre forme di maltrattamento o ingiustizia ai danni degli stessi minori, inizialmente impreviste, che si palesino dovute aincapacità, imperizia o malizia degli stessi caregiver (ad es. del c.d. “genitore protettivo”, o da parte dei pubblici operatori impegnati nelle dinamiche di disvelamento, indagine e tutela minorile). Esempio paradigmatico di questa sottoclasse è la situazione del minore segnalato per presunti abusi sessuali subiti da parte di un genitore in corso di separazione, laddove la denuncia venga poi accertata per falsa e prodotta per irresponsabile manovra da parte dell’altro genitore (come talvolta avviene in situazioni di c.d. “alienazione parentale”); altro caso tipico è quello del minore indotto a pronunciare false accuse di abuso, per effetto di inaccurate operazioni cliniche (ad es. nella c.d. “sindrome delle false memorie di abuso” riemerse in psicoterapia) o per suggestione dovuta ad improprie tecniche di indagine (ad es. nei casi di presunto abuso derivanti da fenomeni di isterismo collettivo, innescato o alimentato dagli stessi esperti giudiziari intervenuti in prima battuta). Pur appartenendo appieno alla suddetta classe generale, in simili vicende l’utilizzo del termine “falso abuso” rischia di essere fuorviante, poiché induce l’erronea impressione di inconsistenza di vero maltrattamento ai danni del minore interessato; invece in tali situazioni va riconosciuta altrettanto la presenza di un abuso, sebbene di tipo diverso (familiare, socio-sanitario, giudiziario ecc.) e di responsabilità opposta rispetto a quanto presunto al momento della prima segnalazione. Per alcune di queste situazioni è già diffuso il termine di “vittimizzazione secondaria“, altri autori fanno riferimento all’anglosassone “legal abuse trauma“. Per identificare in modo univoco tutta questa sottocategoria di falsi abusi e connotarla più chiaramente come effettiva forma di abuso, nel presente articolo viene coniato e proposto alla platea degli esperti il termine nuovo di “abuso inverso”.