E’ accaduto di nuovo, questa volta a Trieste. Un figlio che rifiuta il padre sarà allontanato dalla madre che secondo i giudici (tre magistrate donna) lo avrebbe manipolato psicologicamente e messo contro il padre.
La testata locale TRIESTEPRIMA così riferisce nel sommario:
Una sentenza stabilisce che il bimbo rimarrà per tre mesi in una struttura protetta e poi verrà affidato al papà, verso cui aveva manifestato un atteggiamento oppositivo. La perizia: “La madre ostacola rapporto padre figlio”
In passato questo blog ha cercato di stilare una lista dei casi di allontanamento come questo, ma la raccolta di informazioni si è fermata al periodo 2013-2014. Da allora ci sono stati altri casi, ma per avere una stima andrebbe fatta una ricerca nell’archivio di Google cercando termini come “figli contesi” o “allontanamento”.
Ma a che scopo fare questo lavoro? Vedendoli tutti in fila questi casi possono sembrare tanti, ma se fosse noto il totale dei casi di alienazione parentale grave (quelli in cui il figlio perde interamente i contatti con il padre o la madre) in effetti non lo sono. Fatta la proporzione rispetto alle migliaia di casi in cui sarebbe stato necessario intervenire in questo modo, le decisioni di allontanamento note attraverso i mass media sono ancora troppo poche.
Ma la domanda da un milione di dollari è: funziona l’allontanamento come rimedio per l’alienaziona parentale? Su questo esiste una certa letteratura che sembra confortante, e ci sono stati casi seguiti dai mass media che dopo l’allontanamento del minore hanno visto rapidamente un esito positivo (come quello famosissimo del “bambino di Padova“).
Uno si aspetterebbe che, di fronte ad un problema sociale di questa portata, il Ministero producesse statistiche con i dati certi provenienti dai tribunali, come si fa per le separazioni e i divorzi.
Invece siamo ancora qui dopo più di dieci anni ad arrangiarci con l’archivio delle notizie di Google, che non ci dice poi nulla sull’efficacia delle decisioni prese. Evidentemente benchè i magistrati singolarmente siano pronti a considerare l’alienazione parentale come un fatto assai grave, questo non è sufficiente a farlo diventare un tema di politica giudiziaria. E forse possiamo indovinare perchè. La mera esistenza di un piccolo gruppo di esagitati che grida all’oppressione patriarcale della donna ogni volta che una madre alienante perde la sua causa in tribunale, ha reso politicamente impraticabile a livello istituzionale l’analisi del fenomeno. E pensare che mentre alcune femministe strillano per difendere le tre o quattro madri che ogni anno che perdono in tribunale l’affido dei figli, ci sono certamente altre centinaia di donne che perdono i contatti con i loro figli a causa dell’alienazione parentale attuata contro di loro dai padri.
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Di seguito un estratto dell’articolo di Stefano Mattia Pribetti:
Trieste 30.12.2020 – Un bimbo di 7 anni viene affidato a una struttura protetta, per almeno tre mesi, perché i genitori non raggiungono un accordo sulle visite. Una sentenza che fa discutere, quella emanata il 16 dicembre in sede collegiale dal Tribunale di Trieste, e che secondo i giudici Anna Lucia Fanelli, Monica Pacilio e Sabrina Cicero, è ascrivibile a un “grave pregiudizio della bigenitorialità” da parte della madre, ossia un presunto atteggiamento manipolatorio nei confronti del bimbo, per allontanarlo dal padre. Motivo per cui il bimbo, dopo sette anni di convivenza con la mamma, non solo sarà collocato per tre mesi in casa famiglia o struttura affine, ma al termine di questo periodo sarà affidato totalmente al padre.
[…] Dopo un lungo periodo di discussioni tra i due, con tentativi di mediazione da parte dei rispettivi legali (Giovanna de’Manzano per la donna e Mariapia Meier per il padre), la decisione è passata al Collegio che, basandosi su una perizia psicologica che ha valutato le dinamiche relazionali in famiglia, ha emesso nei giorni scorsi il drastico provvedimento.
Come emerge dalla stessa sentenza, la madre si era opposta a un aumento delle visite non solo per gli atteggiamenti oppositivi del bimbo ma anche perché, come si legge nella perizia, “temeva per l’incolumità fisica del bimbo” a causa delle “mancate competenze genitoriali del padre”, riferendosi a fatti accaduti diversi anni fa. La donna, inoltre, chiede un’altra perizia psichiatrica per l’ex dopo una prima valutazione positiva, che però risale a qualche anno fa. Secondo il documento stilato dalla psicologa, tuttavia, i comportamenti del bimbo sarebbero stati in qualche modo indotti dalla madre, definita “genitore dominante”, che si sarebbe sempre “opposta all’instaurarsi di un vero rapporto tra padre e figlio”. La dottoressa, a difesa di questa tesi, dichiara che “quando il padre è entrato nella vita del bambino, “non ha manifestato disagio a scuola”, continuando a comportarsi come un ragazzino “sereno, sorridente, curioso e propositivo”.
Dopo sette anni di convivenza con la madre, ora il bimbo sarà repentinamente collocato in casa famiglia (il periodo di tre mesi potrebbe anche essere prolungato in base alle valutazioni degli assistenti sociali) e poi affidato interamente al padre, poiché la perizia psichiatrica giudica prioritario “liberarlo dall’influenza del genitore dominante”. […] Ora la madre dovrà pagare non solo 3000 euro di spese processuali, ma anche un assegno di mantenimento di 200 euro mensili all’ex compagno quando il figlio gli sarà effettivamente affidato, il tutto in una condizione reddituale ancora precaria. Come confermato dal legale, si prevede ora il ricorso in appello.
Fonte/Credits: Stefano Mattia Pribetti TRIESTEPRIMA
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Comunicato dell’avvocato Mariapia Maier difensore del padre:
Spettabile Redazione,
Sono il difensore del padre del bambino, di cui è stata resa nota ieri la vicenda giudiziaria.
Nella sorpresa e grande disappunto di scoprire che una situazione così delicata, così faticosamente e dolorosamente maturata negli anni sia stata resa pubblica con diffusione di elementi atti a portare a riconoscimento del bambino, sento il dovere professionale di precisare quanto segue:
1) il mio assistito non ha riconosciuto il figlio dopo tre anni, notizia che passata così può far pensare a un disinteresse protratto sino al terzo anno del bambino: vero è invece, che dopo aver inutilmente tentato di ottenere il riconoscimento in via stragiudiziale consensuale, mancando il consenso della madre, è stato costretto ad avviare una causa per veder garantito il proprio diritto di riconoscere suo figlio.
2) Nell’ambito di questa causa venne già esperita una prima consulenza tecnica affidata ad esperto psicologo, il quale non solo confermò la piena idoneità del padre a svolgere il suo ruolo, ma segnalò già allora la resistenza materna e la mancanza di collaborazione.
3) Mai venne rilevato sulla persona del padre alcun problema di natura psichiatrica, che purtroppo ancora insistentemente la madre afferma;
4) Il provvedimento oggi oggetto di critica interviene dopo un lunghissimo iter giudiziario che il padre ha svolto solo ed esclusivamente per tutelare il sacrosanto diritto alla bigenitorialità del minore e nel quale si sono susseguiti svariati provvedimenti del Tribunale di Trieste a finanche della Corte d’appello di Trieste, addirittura con sanzione alla madre.
5) Nonostante la consulente psicologa nominata dal Tribunale abbia svolto laboriose e lunghe indagini tutte volte, in primis, a sbloccare l’atteggiamento materno e aiutare il recupero del rapporto tra padre-figlio, adottando ogni misura, indicando possibili strumenti per facilitare il riavvicinamento, tutto ciò a nulla è servito;
6) Il padre, mio tramite, desidera rappresentare la preoccupazione, il dolore e il disagio provati in tutti questi faticosi anni solo per garantire il diritto del figlio; Stremato e impotente, esasperato da una situazione drammatica, il padre non ha potuto fare altro se non rivolgersi a un Collegio di Giudici.
7) Il Tribunale di Trieste ha condiviso le indicazioni della CTU psicologa, in quanto in linea con la più recente e accreditata letteratura scientifica.
8) Il padre del minore intende reagire in ogni sede a strumentalizzazioni della situazione del figlio minore, di cui è divenuto esclusivo affidatario, intende tutelarlo dal clamore mediatico che la madre inopinatamente ha sollevato,
9) Invito da ultimo a considerare il pregiudizio che la diffusione di una notizia, come proposta da una parte senza la disamina e la conoscenza di un lungo iter giudiziario e dopo anni di interventi da parte degli operatori dei Servizi sociali, possa arrivare ad un bambino, reso riconoscibile dalla diffusione da parte della madre dei suoi dati.Sono certa che le precisazioni di cui sopra metteranno fine a un dibattito che non doveva mai svilupparsi fuori dalle Aule del giudizio, in pendenza di termini per l’impugnazione e in attesa dell’esecuzione di quanto stabilito. Bisogna tenere ben presente che la diffusione di notizie parziali e frammentarie dà luogo ad un dibattito distorto nel quale l’immagine di tutti i soggetti della vicenda (genitori, avvocati, consulenti, servizi sociali, persino i giudici) ne esce danneggiata. Non mi stancherò mai di dire che il luogo di celebrazione dei processi è il Tribunale, e non il web, la televisione, i social etc. Ringrazio per l’attenzione che verrà data alla presente.
Avv. Mariapia Maier
30 dicembre 2020
giancarlo
io sto’vivendo una cosa simile e impazzisco e nessuno mi fa’ vedere mio figlio, perché lui 11 anni e dice che non mi vuole vedere
Virginia
Non è vero che è sempre colpa della madre se il bambino si oppone alla frequentazione del padre! I bambini sono dei veri osservatori e se vedono cose che non vanno allontanano a prescindere il genitore più ” cattivo”
batman
Non si può dare una regola semplice (“è sempre colpa della madre”). Anche la presunta capacità dei bambini di stare dalla parte giusta è un luogo comune. Se lei guarda la sezione di questo blog sulle mamme alienate troverà parecchi casi di padri violenti che hanno ottenuto l’alleanza dei figli per opprimere le madri.