Separazioni, divorzi e PAS – Valeria Giamundo (Spc – Roma)

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Un momento difficile, a volte determinante nello sviluppo di un minore: la separazione tra i genitori è un trauma da gestire con attenzione. Ma molte coppie si trovano impreparate al momento della divisione e, spesso, ansie e tensioni si riversano sui figli. Che invece dovrebbero essere «tenuti fuori», aiutati a superare la fase più critica e dura. Ecco come, nella relazione della psicologa e psicoterapeuta Valeria Giamundo, docente presso la Scuola di Psicoterapia cognitivo-comportamentale (Spc) di Roma.

Fonte:  Corriere della Sera – Roma

COME AFFRONTARLI CON I FIGLI – Le statistiche più complete effettuate dall’ISTAT in Italia risalgono al 2008, anno in cui si sono registrati 84.165 separazioni e 54.351 divorzi, con un incremento rispettivamente del 3,4 e del 7,3 per cento rispetto all’anno precedente. Nel 2008 si è giunti a 286 separazioni e 179 divorzi ogni 1.000 matrimoni, contro le 158 separazioni e 80 divorzi registrati nel 2005; la tipologia dei provvedimenti risulta essere perlopiù consensuale, riguardando l’86,3% delle separazioni e il 77,3 % dei divorzi.
Fino al 2005 ha inoltre prevalso l’affidamento esclusivo dei figli mentre, grazie all’introduzione nel 2006 dell’istituto dell’affido condiviso dei figli minori come modalità ordinaria, nel 2008 si è potuto registrare il 78,8% di separazioni con affido condiviso dei figli, contro il 19,1 % di separazioni con affidamento esclusivo alla madre. Nel 2005 l’affidamento a queste ultime corrispondeva ad una percentuale dell’80,7% delle separazioni e dell’82,7% dei divorzi, mentre l’affidamento esclusivo ai padri (anche rispetto all’affidamento congiunto o alternato) risultava residuale, ovvero del 3,4% .

SEMPRE PIU’ MINORI COINVOLTI – La durata media dei matrimoni si assesta intorno ai circa 15 anni per le separazioni e ai 18 per i divorzi, e l’età media alla separazione è di circa 45. I rilevamenti Istat evidenziano dunque un fenomeno in continua crescita, che coinvolge oggi un numero sempre maggiore di minori, ovvero di soggetti immaturi che non hanno ancora sviluppato quelle abilità necessarie a fronteggiare l’evento traumatico. Il 56,2% dei figli affidati nelle separazioni risulta infatti avere meno di 11 anni; in caso di divorzio la quota di minori di 11 anni risulta invece del 35,4%. In molti di questi casi si rende pertanto necessario l’intervento dei professionisti dell’età evolutiva, dal counseling rivolto alla coppia genitoriale all’intervento psicoterapico diretto sui minori individualmente o in gruppo.

RICERCA SU DUE GRUPPI DI BAMBINI – I risultati preliminari di una ricerca effettuata su due gruppi di bambini che hanno partecipato ad un programma di trattamento breve e focale, centrato sugli esiti delle separazioni genitoriali, hanno evidenziano l’efficacia della terapia di gruppo basata su procedure e tecniche ad orientamento cognitivo-comportamentale. Nell’affrontare le situazioni di separazione il professionista si pone alcune importanti domande.
Quali sono i sintomi più ricorrenti nel bambino? Da dove originano? Quali problemi si trova ad affrontare il bambino nelle famiglie divise o ricostituite? Quali sono i disagi dei genitori? Quali gli ostacoli che essi, con i loro atteggiamenti inconsapevoli, pongono all’elaborazione della perdita del minore? Qual è il trattamento più indicato per il bambino? Ecco le risposte.

QUALI I SINTOMI PIU’ RICORRENTI – In conseguenza della separazione genitoriale i bambini possono sperimentare segni di disagio di varia natura ed entità: da rabbia e frustrazione ad ansia, depressione, regressioni varie e problemi comportamentali o cosiddetti disadattati più generali, (che il bambino può manifestare nei diversi contesti, non solo all’interno della famiglia). Dovrà allarmare la perdita di interessi, l’isolamento, i problemi scolastici o il disinvestimento in attività che prima della separazione erano fonte di gioia e soddisfazione per il minore.

DA COSA ORIGINANO I SINTOMI NEL BAMBINO – Fondamentalmente sono tre i fattori da cui originano i segni di disagio: l’angoscia dell’abbandono: l’allontanamento provoca un’angoscia abbandonica che può portare il bambino a sviluppare comportamenti disadattavi. Ansia, depressione sintomi regressivi e comportamenti di aumentata dipendenza (l’enuresi, la richiesta del biberon, la richiesta di dormire nel letto con il genitore …), possono poi essere, inconsapevolmente, rafforzati dai genitori. Il desiderio del genitore che vive col bambino di stabilire un legame più stretto con questo può colludere col bisogno dello stesso di non perdere “l’unico” rapporto che gli è rimasto e sostenere i sintomi regressivi e la dipendenza.

IL DISORIENTAMENTO DEI MINORI – Il disorientamento: il bambino deve riorganizzarsi in una situazione nuova e di crisi, che non ha determinato lui anche se spesso, può sentirsi responsabile. La separazione di un genitore è per il bambino non solo un’esperienza di perdita di un affetto primario, ma anche di perdita di un’identità, quell’identità è ancora strettamente collegata ad un’identità familiare, che si sta invece dissolvendo.
L’affidamento all’uno o all’altro genitore rappresenta pertanto il nuovo assetto organizzativo, in cui il minore realizza il proprio diritto alla formazione e allo sviluppo della propria personalità, sviluppa le proprie capacità di fronteggiare le situazioni di disagio, la propria capacità futura di costruire relazioni affettive e sociali e l’eventuale disadattamento. Gli esiti dipendono, naturalmente, anche dall’età che il minore ha raggiunto al momento della separazione.

IL CONFLITTO DI LEALTA’ – Poi c’è il conflitto di lealtà: nei casi di elevata conflittualità il minore è spesso utilizzato nel conflitto genitoriale; frequenti sono i casi in cui viene considerato come una sorta di premio o di risarcimento. Il bambino, conteso, finisce col dover scegliere l’uno o l’altro perché l’alleanza ad uno solo è più funzionale alla propria sicurezza. In questo complesso meccanismo l’attenzione al figlio può anche portare lo stesso a cercare vantaggio proprio dal litigio dei genitori. Nei casi più gravi il bambino si schiera completamente dalla parte del genitore convivente, arrivando a rifiutare categoricamente il genitore non affidatario e addirittura avviare una campagna di denigrazione, non giustificata, nei confronti dello stesso. Ciò è quanto accade nelle cosiddette Sindromi da Alienazione Parentale (PAS).

COME SI MANIFESTANO I SINTOMI DELLA PAS – La PAS è una condizione che insorge quasi esclusivamente durante la fase di separazione e di divorzio e si acuisce quando i genitori si contendono l’affidamento del figlio. I bambini istigati (non sempre consapevolmente) da uno dei genitori, rifiutano quello non convivente, motivando il proprio rifiuto attraverso razionalizzazioni deboli e assurde (per es.: “ha detto una brutta parola, non si interessa ai miei amici…”). I
l rifiuto può estendersi anche ai parenti del genitore alienato, con i quali prima della separazione aveva un buon rapporto. Il bambino afferma che le motivazioni del suo rifiuto e l’odio che nutre verso il genitore alienato dipendono solo da sé stesso, negando qualsiasi contributo del genitore alienante. Nei casi più gravi tale condizione può addirittura sfociare in false accuse di abusi sessuali.

QUANDO SUBENTRANO NUOVI PARTNER – Un’ulteriore complicanza per il minore è rappresentata proprio dall’ingresso della nuova compagna del papà o del nuovo compagno della mamma, percepiti spesso come il “terzo incomodo”. Ciò può aumentare il sentimento di abbandono, e il bambino si sentirà spesso di troppo, estromesso, tradito. Anche in questo caso, tuttavia, gli esiti dipendono dagli atteggiamenti dei genitori e dei loro rispettivi partner.
Questi ultimi dovrebbero rispettare i tempi dei minori e riconoscere la loro necessità di trascorrere un pò di tempo da soli con i genitori. Ciò può favorire l’instaurarsi di un rapporto più valido tra genitore e figlio nella nuova situazione di vita e, a lungo termine, favorire anche l’instaurarsi di nuovi legami d’attaccamento.

COME EVITARE NUOVI CONFLITTI – Come dovrebbe comportarsi allora un genitore separato per limitare i rischi che insorgano i segni sopra indicati? Occorre consapevolezza e responsabilità da parte degli adulti coinvolti. Le statistiche ci presentano spesso padri immaturi con partner giovani o incapaci di gestire situazioni complesse come la separazione. Tali scelte possono spesso accompagnarsi a dinamiche competitive o agonistiche, da cui sono, il più delle volte, i figli ad uscire sconfitti.
Un altro caso tipico è quello dell’uomo che dopo una relazione conclusa faticosamente desidera instaurare relazioni leggere o poco impegnative. In quanto tali queste relazioni andrebbero gestite senza il coinvolgimento dei figli. Evitare di esporre i minori a separazioni ripetute è una cautela essenziale.
La nuova relazione non è mai una certezza, è chiaro, ma il papà o la mamma dovrebbero impegnarsi a tutelare i figli dal costruire legami già in partenza destinati a finire. Le madri, alle quali il più delle volte viene affidato il figlio, dovrebbero invece salvaguardare il rapporto tra padre e minore, già danneggiato, il più delle volte, dalla perdita del condividere quotidiano, evitando di svalutare ripetutamente il marito davanti al figlio.

MODALITA’ E TEMPI DI RELAZIONE – Sebbene possa risultare difficile è opportuno anche evitare di imporre le modalità e i tempi che dovranno caratterizzare la “nuova” relazione tra padre e figlio e lasciare che questi costruiscano serenamente un nuovo modo di stare insieme. Entrambi infine dovrebbero condividere almeno le regole di base dello stile educativo che intendono mantenere.
In tutti questi casi è certamente d’aiuto, e renderebbe meno complesso il raggiungimento degli obiettivi volti al benessere del minore, farsi seguire da un professionista dell’età evolutiva. In ogni caso, supportati o soli, il assaggio fondamentale è che i genitori devono far vivere la separazione come un cambiamento non come una perdita.

I TRE PRINCIPI DELLA CRESCITA SANA – Una crescita sana si poggia su tre importanti principi: la continuità (il genitore dovrà cercare di garantire, le condizioni più pragmatiche quali i ritmi dei pasti dell’addormentamento, gli impegni extrascolastici… ecc..), la prevedibilità (dare al bambino la possibilità di prevedere alcuni eventi gli fornisce la sensazione di poter controllare le situazioni esterne ma anche le proprie reazioni interne), l’affidabilità (il padre o la madre, dovranno garantire dei rapporti qualitativamente soddisfacenti, e rimanere dei punti di riferimento affettivi importanti affinché i bambini si sentano realmente amati e supportati nei bisogni di crescita personali). Può sembrare straordinario, eppure in alcuni casi ho potuto constatare che, a fronte della separazione, alcune coppie genitore-figlio hanno subito addirittura un miglioramento.

L’AFFIDO CONDIVISO E GLI EFFETTI – L’affido condiviso può limitare gli effetti di una genitorialità conflittuale? L’affido condiviso ha rappresentato, senz’altro, un’importante riforma nell’ambito del diritto di famiglia, sottolineando il concetto di bi-genitorialità, ovvero il diritto dei figli a mantenere lo stesso rapporto con il padre e con la madre, anche dopo la separazione.
Bisogna dire tuttavia che questa importante riforma sembra garantire più gli interessi degli adulti che quelli del minore. Il più delle volte infatti l’interesse del minore rimane solo sulla carta, poiché difatti l’affido condiviso può avere successo solo se vi è tra i coniugi un equilibrato accordo. Diversamente il minore non sembra effettivamente trarre vantaggio dall’affidamento condiviso.
E’ importante che durante la separazione i coniugi riescano a differenziare i problemi legati alla conflittualità della coppia da quelli relativi al proprio ruolo di genitore e riescano a comunicare ed agire nel rispetto delle esigenze dei minori. Il principio su cui si fonda l’affidamento condiviso è che il fallimento di due individui come coppia non comporti necessariamente il loro fallimento come genitori.

COME INTERVENIRE IN SITUAZIONI DI DISAGIO – Quale intervento? Gli interventi più efficaci sono quelli integrati, rivolti sia al minore che alla coppia genitoriale. La terapia in età evolutiva può essere di aiuto in molti casi per facilitare l’elaborazione della perdita, ma non tutti i bambini necessitano di un trattamento psicoterapico.
Un primo incontro col terapeuta consentirà comunque al genitore di valutare se e quando è necessario che il minore intraprenda un percorso di valutazione o trattamento. Non va trascurato che ci sono casi in cui è il figlio stesso in prima persona a farne esplicitamente richiesta..

LA TERAPIA DEI GRUPPI DI BAMBINI – Da qualche tempo ho abbinato al lavoro individuale sul minore, la terapia di gruppo per i bambini dai 6 ai 13-14 anni d’età (naturalmente i gruppi sono organizzati per fasce omogenee d’età). L’idea è nata conseguentemente alle domande che i bambini mi ponevano nel corso delle sedute: “ma conosci altri bambini figli di separati? e loro cosa pensano? e loro cosa dicono?…”.
La modalità terapeutica di gruppo, spesso usata con adulti ma raramente presa in considerazione per i bambini e gli adolescenti, si è rivelata particolarmente efficace favorendo la partecipazione e la coesione tra i partecipanti, consentendo l’intervento nel “qui ed ora”, ovvero quando le problematiche emotive e relazionali emergono e si manifestano, e stimolando l’apprendimento delle abilità socio-relazionali.

NON PIU’ EVENTO ECCEZIONALE – Oggi fortunatamente i bambini vivono sempre meno la separazione come un evento eccezionale, che attiene esclusivamente alla propria esperienza individuale; spesso ne vengono a conoscenza attraverso i compagni ed è proprio la condivisione dell’esperienza in un gruppo che aiuta a riflettere più serenamente sulle problematiche familiari, e a sviluppare le abilità di fronteggiamento (per es. mettendo a confronto le proprie reazioni o le soluzioni messe in campo con o senza successo con quelle degli amici).
Il trattamento, sia esso individuale che di gruppo, è centrato sull’elaborazione dell’evento separazione. I bambini vengono aiutati ad esternare i propri sentimenti in relazione alla separazione, ad esaminare le reazioni o gli atteggiamenti ad essa conseguenti, a comprendere ed affrontare il delicato momento della separazione.

LE RISORSE CHE SOSTENGONO IL BAMBINO – Il bambino ha risorse che noi adulti, anche genitori, forse neanche immaginiamo, ma ha naturalmente bisogno di tempo per assimilare l’evento e la terapia può accelerare il processo di elaborazione. Questa inoltre avrà più successo se affiancata ad un lavoro sulla coppia genitoriale.
ll trattamento individuale e/o di gruppo ha solitamente una durata breve (circa sei mesi con frequenza settimanale) per evitare un’eccessiva identificazione del bambino come portatore di un disagio cronico e limitare il rischio di etichettamento. Ma i tempi dell’intervento sono anche testati sull’esperienza di trattamento con questi bambini, la quale ha evidenziato difatto la notevole capacità di elaborazione e di integrazione in età evolutiva.

Valeria Giamundo, psicologa e psicoterapeuta (orientamento cognitivo-comportamentale), è docente presso la Scuola di Psicoterapia cognitivo-comportamentale di Roma, dove svolge attività di ricerca finalizzata allo sviluppo di interventi trattamentali innovativi sull’età evolutiva.


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