Intervista a Gulotta – Il Dubbio 16.9.20

La sfida dell’affidamento e la sindrome negata dell’alienazione genitoriale

di Vittorio Alfieri (Il Dubbio 16 settembre 2020)

Professor Gulotta, lei è promotore di un memorandum sul tema controverso dell’affidamento dei figli in casi di separazione e divorzio. Può illustrarci come nasce e perché?

Il mese scorso ho chiesto la collaborazione a Laura Volpini, psicologa, psicoterapeuta e docente presso la “Sapienza” Università di Roma, e a Giovanni Camerini, neuropsichiatra infantile e professore presso le Università di Padova e Lumsa sempre di Roma, per redigere un documento da inviare alla Commissione Parlamentare che è stata istituita nel 2018 e che, come ha chiarito la Presidente e senatrice Valeria Valente, si occupa «di porre l’attenzione su come la violenza venga letta e riconosciuta nei tribunali, al fenomeno della Pas e se e quante volte sia derubricata nelle cause di separazione e di affido dei minori».

Ci siamo resi conto che fosse necessaria una presa di posizione da parte di professionisti che lavorano quotidianamente in questo ambito e che si ritrovano ad affrontare svariate difficoltà. Abbiamo quindi offerto un contributo basandoci sulle nostre conoscenze scientifiche ed esperienze professionali, nell’ottica di quella che definisco epistemologia sociale. Ben 130 intellettuali ( e hanno continuato ad arrivare adesioni!) esperti in materia, avvocati, psicologi e psichiatri, hanno aderito al memorandum, che è stato inviato anche al Consiglio dei Ministri, al Ministero per le Pari Opportunità, alla Commissione Parlamentare per la Tutela dell’Infanzia e dell’Adolescenza e all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Il testo completo e l’elenco dei firmatari sono visibili sulla rivista elettronica Filodiritto.

Sono favorevole alla creazione di queste Commissioni. Con tutti i soldi che lo Stato spende per riparare i danni di errori giudiziari di ingiuste carcerazioni mi sembra giusto creare anche una Commissione e stabilire in che cosa, quando, come, ma soprattutto per quali ragioni, si commettono errori in ambito giudiziario: l’Innocence Project negli Stati Uniti, operante dal 1992, ha portato alla scarcerazione, ad oggi, di 375 persone condannate, di cui alcune si trovavano nel braccio della morte. Nel libro Innocenza e colpevolezza sul banco degli imputati ( Giuffrè, 2019) ho illustrato quali siano i principali vulnus che andrebbero affrontati per poter giungere, o quanto meno aspirare, ad un processo “sempre più giusto”.

La Commissione Parlamentare ha dunque selezionato 572 fascicoli, un campione certamente non rappresentativo delle cause di separazione per i minori, che sono mediamente 60.000 l’anno, allo scopo di esaminare come viene percepita la violenza in tribunale. Questa attività nasce sulla base anche di proteste di alcune madri che si sentirebbero danneggiate dalle consulenze tecniche d’ufficio ( CTU) esperite durante il loro processo di separazione, anche a causa di una diagnosi chiamata “Sindrome di Alienazione Genitoriale” secondo la quale si sarebbero rese responsabili di aver ostacolato l’incontro del figlio con l’altro genitore. Si paventa vibratamente che ci sia un preconcetto antifemminile da parte degli operatori forensi.

La presidente Valeria Valente ha affermato di aver sempre fatto riferimento alla «violenza assistita dei minori come ad una violenza diretta a tutti gli effetti», e che ora la lettura che la Commissione intende applicare è quella per cui allo stesso modo «una madre che assiste ad una violenza sul proprio figlio è una violenza diretta sulla madre». Oggi il termine violenza ha acquisito un significato liquido, pret- à- porter. Per esempio viene considerata violenza quella che soggettivamente viene percepita come tale, arricchendo però così il termine di significati che non ha.

Occorre fare attenzione, perché se mi si permette un ricordo storico e una reductio ad absurdum, le Brigate Rosse gambizzavano e uccidevano dei dirigenti per rispondere alla violenza delle multinazionali. Questi genitori che impediscono al ragazzino di andare in scooter e non glielo vogliono comprare, commettono violenza? Secondo lui, sì. Quelli che non permettono alla ragazzina di stare in giro fino a tardi, commettono violenza? Secondo lei, sì. Magari vogliono rispondere con violenza alla violenza, non si sa mai. Si vendicheranno?

Come disse una volta Sartre, le parole sono pistole cariche. C’è sempre qualche testa calda o poco controllata che reifica la metafora…

Bisogna distinguere tra l’aggressione pura e la reazione eventuale scaturita da situazioni diverse quali prevaricazione, prepotenza, ecc. Queste ultime potrebbero rientrare in quella che viene chiamata violenza psicologica, situazione ben difficile da definire perché potrebbe farsi rientrare in essa qualunque situazione in cui la vittima o pretesa tale dice di sentirsi minacciata, ricattata o cose del genere. Si pensi allo stalking: non basta che la donna lamenti una condizione psicologica- emotiva ansiogena o di paura, ma deve essere dimostrato il nesso di causalità tra la sofferenza riportata e il perdurante stato di ansia riferito e i comportamenti realmente agiti dal soggetto cui quest’ultima si riferisce. Che esistano uomini maneschi e talvolta potenzialmente assassini è fuor di dubbio, e da essi bisogna difendere bambini e donne. Ma la violenza assistita non deve essere equiparata alla violenza diretta, altrimenti vanifico la fun- zione deterrente della pena: se picchiare il figlio davanti alla moglie è come se si picchiasse anche lei, tanto vale farlo.

Quali sono secondo lei diciamo i punti deboli delle proteste di gruppi organizzati di madri che dicono che i figli vengono loro sottratti perché delle perizie mal fatte le giudicano colpevoli di maltrattamenti o di manipolazioni psicologiche nei confronti dei figli?

Il primo è ritenere che ci sia una violenza istituzionalizzata sulla base di un preconcetto antifemminista. Guardiamo i numeri Istat aggiornati al 2017. Nei divorzi concessi dal tribunale, il numero dei casi di affidamento esclusivo alla madre è di 2583, mentre quello degli affidi esclusivi ai padri è 350. Ed è per questo che le madri sono spesso chiamate in causa, poiché è evidente che chi può ostacolare la bigenitorialità è l’affidatario e non l’altro. A ciò si aggiunga che la maggior parte degli psicologi, dei consulenti, degli assistenti sociali e dei giudici che lavorano in questo ambito sono donne. Non si capisce dunque quale potrebbe essere questo atteggiamento antifemminista che comporterebbe un tale danno alle madri.

Addirittura, questi gruppi di madri, vogliono che sia abolita la legge sulla bigenitorialità, sull’affidamento condiviso. È questa la ragione per cui queste madri vocianti non vogliono sentir parlare di Alienazione Parentale: perché per loro ostacolare il compito del padre di contribuire ad allevare i propri figli e dei figli di poter frequentare il padre, è un diritto, una sorta di legittima difesa: intendiamoci, di loro stesse non dei figli.

Consiglio loro di imparare a memoria, e ogni tanto recitare, la poesia di Khalil Gibran che dice tra l’altro: «I vostri figli non sono figli vostri, sono i figli e le figlie della brama che la vita ha di sé stessa. Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi. E sebbene stiamo con voi, non vi appartengono. Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri perché essi hanno i propri pensieri (…) Voi siete gli archi dei quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati».

Dicono poi che questo fenomeno dell’alienazione parentale non esiste: tutti noi abbiamo certamente un amico/ a separato o divorziato che dice “mio marito/ mia moglie mi ha messo contro i figli e non me li fa vedere”.

Ecco, questo fenomeno secondo loro non esisterebbe. Si suppone cioè che in un corso per diventare perito d’ufficio che duri, ad esempio, 100 ore di lezioni e 100 ore tra pratica e studio, questi consulenti, psicologhe per lo più, si convincano che bisogna dare torto alla madre attribuendovi un comportamento ostacolante la bigenitorialità e influenzando il figlio contro il padre, essendo loro donne e magari madri? E che alla fine persuadano anche dei giudici, donne e probabilmente madri, le stesse che come si è visto, numericamente parlando, scelgono l’affidamento esclusivo alla madre piuttosto che al padre. Ma chi ci crede!

Come mai, allora, non risponde anche a questi gruppi di protesta?

Vede, così è come agisco anche nella mia pratica professionale. Quando qualcuno contrasta le mie opinioni argomentando, io dibatto, e se mi persuade cambio idea, se non mi persuade resto della mia.

Quando qualcun’altro rozzamente e senza preparazione se la prende con le mie idee e con me come persona io non rispondo e lo ignoro perché se un terzo assistesse allo scambio potrebbe ritenere, per il sol fatto che abbia accettato il confronto, che l’altro potrebbe avere anche ragione.

Va bene però bisogna dire che molte istituzioni internazionali ribadiscono l’importanza della tutela della donna…

E ci mancherebbe altro! La tutela delle donne intese come un soggetto più fragile si riscontra in dichiarazioni e atti di istituzioni internazionali, è vero ed è giusto. Nelle strade in Italia possiamo vedere donne che camminano col marito tre passi indietro – e la prossemica la dice lunga – vestite secondo la loro cultura in modo che si vedano solo gli occhi. Dobbiamo tenere conto che i dati Unicef mostrano come ci siano ancora circa 200 milioni di ragazze e donne in 31 Paesi nel mondo che subiscono mutilazioni genitali, quali infibulazioni e clitoridectomie, per non parlare delle “spose bambine” che continuano ad essere circa 700 milioni nel mondo e a subire violenze, abusi e sfruttamento. Uno studio del 2019 ha illustrato inoltre come sia sempre più diffusa, in India e in Cina, la pratica dell’aborto selettivo: stiamo parlando di ben 23 milioni di casi nel mondo. Secondo le Nazioni Unite mancano 117 milioni di bambine nel mondo, molte abbandonate o uccise dopo la nascita, altre mai nate perchè la loro colpa era essere femmine. Di tutto ciò però non mi pare si dica granché. Eppure, sono temi che meritano davvero delle proteste di donne ( e non solo) davanti ad ambasciate e consolati negli Stati in cui queste cose sono consentite o comunque tollerate. Come mai allora non ne parlano? Forse perché chi commette queste atrocità ha un colore della pelle diverso dal nostro e/ o appartenente alla cultura musulmana e questo rende la protesta politicamente scorretta? Oppure è perché ci si occupa solo degli affari propri, quando invece, ed è quello che ha mosso noi 130 firmatari, di cui oltre la metà sono donne ( oltre il 60%): un intellettuale è precisamente una persona che si occupa col pensiero e con le azioni di questioni che non lo riguardano personalmente.

Questa iniziativa va abbastanza controcorrente…

Per la verità sono molto sorpreso dai molti professionisti, anche particolarmente competenti, che non hanno preso posizione. So, anzi, di colleghi, anche autorevoli, che pur condividendo il contenuto del Memorandum ritengono di non firmare per non esporsi, e questo mi preoccupa perchè significa che strisciante c’è anche da noi, come sta avvenendo nei paesi anglosassoni, una sorta di autocensura nei confronti di opinioni che contrastano il pensiero mainstream. Perchè è proprio vero: se una persona non si batte per le proprie idee, o non valgono le idee o non vale la persona. Non facendo sentire la loro voce, si sentirà più forte e avrà più vigore quella di coloro che la pensano diversamente.

Certo, la vecchia Europa è più saggia rispetto a quello che sta accadendo negli Stati Uniti rispetto alla limitazione dell’espressione del proprio pensiero, anche se qualche piccolo contagio c’è già. È un atteggiamento che va affrontato di petto, prima che dilaghi anche da noi.

Vede, io sono un libero professionista, ormai da qualche anno in pensione dall’Università, e mi vanto di non appartenere a nessuna corrente né congregazione, né circolo sportivo, sono solo Presidente della Fondazione mia omonima. Così sono al riparo da chi possa tentare di dirmi cosa e come devo pensare, perché tengo alla mia libertà da influenze infondate o ingiustificabili e per sentirmi libero di poter esprimere quello che sento dopo averci meditato. Non dobbiamo dimenticare il diritto di esprimere ciò che pensiamo, anche e soprattutto se controcorrente: un intellettuale deve essere una spina nel fianco.

Avete inviato il Memorandum anche per conoscenza al Garante dell’Infanzia e al Ministero delle pari opportunità…

Al primo perché si tratta di tutelare i bambini e non i genitori; al secondo perchè certamente nel nostro mondo ci sono aspetti di misogenia, ma anche di misandria. E siccome la tendenza verso la parità è almeno bidirezionale…

dubbio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *