Le distorsioni dei media nella vicenda del bambino di Padova
Nelle ultime settimane, a partire dalla diffusione del filmato del bambino di Padova trascinato dal padre e alcuni poliziotti, la professione psicologica e i suoi strumenti sono finiti al centro della discussione nei media, spesso in modo distorto su diversi livelli di analisi. Tra le deformazioni più evidenti l’acritica adesione alla versione dei fatti della madre del bambino nel raccontare la vicenda, incurante dell’ottica sistemico-relazionale nonché della sentenza con cui a questa era revocata la podestà genitoriale; la discussione sulla sindrome da alienazione genitoriale (PAS), quasi sempre fraintesa e rigettata talvolta sulla base del giudizio personale sulla vita di colui che l’ha descritta, lo psichiatra americano Richard Gardner. Il dibattito è andato avanti per giorni: di seguito una rassegna delle intrecciate trame in cui si è evoluto.
Prima fase: le reazioni emotive e pro domo sua
Il filmato, inviato alla redazione del programma televisivo Chi l’ha visto, risultava concitato e sgradevole a partire dalla vulnerabilità del minore coinvolto. I media sono inizialmente ricorsi a chi l’aveva inviato per ottenere maggiori informazioni su quanto avvenuto: la madre e il suo entourage.
L’11 ottobre l’Ansa, ripresa da diversi quotidiani, riporta le parole della madre per cui il bambino “è stato portato in comunità perché la Corte d’Appello di Venezia ha emesso un decreto sulla base del fatto che al bambino era stata diagnosticata la Pas (sindrome da alienazione parentale). Secondo la Pas, se il bambino non viene prelevato dalla famiglia materna e “resettato” in un luogo neutro, come una sorta di depurazione, non potrà mai riallacciare il rapporto con il padre. Tutto questo in base a una scienza spazzatura che arriva dall’America”. La notizia è dunque riportata attraverso il punto di vista della madre, che offre anche il suo giudizio su fatti scientifici. Su questa parziale ricostruzione si basa il dibattito nei primi due giorni: ampio spazio è offerto anche all’avvocato della donna, che basa la propria strategia processuale per il ricorso in appello contro la revoca della podestà genitoriale definendo la PAS “una porcheria frutto della mente di un pervertito”.
In questa prima fase si registrano comportamenti incongrui e non certo orientati al riserbo e al benessere del minore coinvolto, da parte di politici e osservatori: la deputata Alessandra Mussolini, servendosi di una norma costituzionale sul potere ispettivo dei deputati, irrompe nella struttura dove il bambino è stato portato, lo incontra “per assicurarsi che stia bene” e riferisce la loro conversazione: «Amore, anche a me non piacciono i grandi, se li vedo scappo. Dimmi, ti sei fatto male quando sei venuto via dalla scuola?». «Mi fa male la schiena», ha risposto il piccolo. «Tu sei un bambino straordinario, eccezionale – ha continuato la parlamentare – mamma e papà ti vogliono entrambi tanto bene, purtroppo a volte succede che gli adulti abbiano atteggiamenti strani. Vuoi dire qualcosa a qualcuno?». E lui: «Voglio andarmene subito, voglio tornare a casa dalla mamma».
Il presentatore televisivo Tiberio Timperi, che spesso narra della sua personale vicenda di separazione, definisce «mafietta» la categoria dei consulenti dei giudici, riferendosi a psicologi e psichiatri.
Il Garante per l’Infanzia Vincenzo Spadafora invece afferma di ribellarsi allo “sciacallaggio” di chi preme per incontrare il bambino. Non manca però di inopportunamente raccontare in televisione i temi scritti dal bambino, fornendone anche ingenue letture psicologiche: «sta trovando un suo equilibrio fuori dai conflitti del padre e della madre e sta scrivendo dei temi molto belli. In uno di questi il bambino conteso ha raccontato di due alberi che all’inizio non si capivano ma parlando, parlando, con il tempo diventarono amici. E da quel giorno vissero tutti in allegria. Lui ha solo bisogno di essere lasciato in pace, i bambini come gli alberi superano le intemperie».
Seconda fase: tutti pazzi per la PAS
Si comincia ad approfondire scientificamente la vicenda. Lo psichiatra Rubens De Nicola, autore della Consulenza Tecnica d’Ufficio, afferma di aver citato la PAS nella sua relazione, e precisa nel corso del programma Pomeriggio cinque: «non ho diagnosticato la Pas. Ho solo descritto delle modalità di relazione. E l’ho fatto in modo scientifico.Pas è un termine convenzionale che viene usato in taluni ambienti tecnici, per definire un’anomalia comportamentale. La Pas è un disturbo relazionale. È una sorta di gioco collusivo intrafamiliare a cui aderiscono i componenti della famiglia. Come entità clinica non esiste».
Il dibattito però, più che vertere sull’utilizzo scientifico della PAS, sul possibile inserimento nel DSM V, sulla sua presenza nelle linee guida in tema di abuso di minori della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e soprattutto sul fatto che descrive modalità relazionali riconosciute da sempre sotto altre etichette, si concentra sulla vita di chi la PAS l’ha definita.
Secondo Sandra Amurri sul Fatto Quotidiano lo psichiatra Richard Gardner è «morto suicida, dei padri pedofili scriveva: “Non bisogna essere troppo punitivi nei loro confronti, in caso di abuso sessuale del padre sui figli, il padre non va allontanato da loro». Sul quotidiano Il Manifesto, secondo quanto riferisce Il Giornale, Luisa Betti scrive che «la Pas serve spesso per tappare la bocca ai bambini che non vengono presi in considerazione nei loro racconti». Maria Novella De Luca su Repubblica afferma che la PAS è «una malattia non riconosciuta da alcuna comunità scientifica», e ignorando le nozioni metodologiche di base della psicologia clinica e giuridica afferma che nella PAS «il bambino non vuole frequentare altro genitore. Cosa ben difficile da accertare, anche se questa sindrome esistesse davvero».
Il TG5 dell’11 ottobre parla poi della PAS come di “una delle armi di nuova generazione per combattere una guerra senza esclusione di colpi”. Particolarmente grave quanto invece viene detto sempre al TG5, in un altro servizio: oltre a rimarcare il suicidio di Gardner, al riguardo si dice che «il bambino non viene ascoltato, perché tutto quello che dice è considerato il frutto avvelenato della manipolazione psicologica subita. Non si cerca di capire il motivo profondo del rifiuto di uno dei due genitori».
A parte la biblica connotazione negativa, nel servizio si presuppone che un bambino sia ingiustamente etichettato, ignorando che nelle consulenze tecniche e più in generale nel processo psicodiagnostico tali motivi profondi sono cercati a priori. Solo dopo una lunga investigazione vengono forniti diagnosi e prognosi psicologica. Nel caso di Padova, secondo il Corriere della Sera il consulente descrive il comportamento del bambino in nove pagine, prima di arrivare alle sue conclusioni. Dice la PM Matone nella trasmissione televisiva Porta a Porta: «se uno si legge il decreto con attenzione, al di là della CTU, c’è descritta in maniera analitica quella che è stata la condotta scellerata di questa persona che ha portato le cose fino a questo punto». Inoltre mai si evidenzia che in presenza di reali abusi la diagnosi di PAS non è applicabile. I vari giornalisti saltano a pie’ pari questi fondamentali passaggi.
Terza fase: la riparazione
Col passare dei giorni e lo scemare dell’emotività, le redazioni hanno ritenuto di offrire sempre maggior spazio agli addetti ai lavori e ai dettagli tecnici: in molti casi si è trattato di una vera e propria boccata di ossigeno. L’intervento a Repubblica di Anna Oliviero Ferraris, docente di Psicologia dello Sviluppo alla sapienza, è da manuale: si evidenzia la vicenda con un’ottica finalmente non adultocentrica, offrendo nuove considerazioni al dibattito (la classe dove è stato prelevato il bambino era forse luogo neutro per i genitori ma certo non per il minore), soluzioni alternative (affido temporaneo ad altri parenti e non alla casa famiglia; multe per i genitori che non rispettano sentenze), riferimento agli altri strumenti a disposizione (mediazione familiare). Altrettanto si può dire dell’intervento di Luigi Cancrini sul Fatto Quotidiano, in cui si approfondisce la questione del “conflitto di lealtà”. Da segnalare anche l’ottimo articolo di Cosimo Colasanto sul Sole 24 Ore, in cui la PAS è esaminata in modo imparziale e scientifico.
Un gruppo formato da alcuni tra i più importanti psicologi giuridici italiani, tra cui Marisa Malagoli Togliatti, Guglielmo Gulotta e Patrizia Patrizi, ha pochi giorni fa diffuso un documento sulla bigenitorialità (leggi tutto), in cui si fissano degli elementi chiave per leggere scientificamente le separazioni caratterizzate da alta conflittualità, come quella di Padova: vi si legge che “il fenomeno del bambino conteso e schierato a difesa di un genitore contro l’altro risulta, purtroppo, molto frequente nelle separazioni caratterizzate da un’alta conflittualità in cui i partner, anche a causa delle loro caratteristiche di personalità, non riescono ad elaborare in modo evolutivo e riflessivo l’evento separativo”, e che “attualmente si ritiene che il termine più corretto per definire tale fenomeno sia Alienazione Parentale e non Sindrome di Alienazione Genitorialesottolineando (nei casi di rifiuto non motivato) che non si tratta di una problematica individuale del figlio ma di una difficoltà relazionale tra i tre membri della famiglia: bambino, madre e padre, alla quale possono contribuire i membri della famiglia allargata. Anche se in misura che può essere diversa come intenzioni, motivazioni e comportamenti, ognuno dei componenti il gruppo familiare fornisce il proprio personale contributo in misura variabile da caso a caso”.
Come psicologi possiamo comunque dire di avere imparato qualcosa da questa vicenda: potrà essere usato contro di noi non solo tutto ciò che scriviamo in una relazione tecnica, ma anche ciò che i media arbitrariamente intendono di essa.
Nicola Boccola Studio HFC
Fonte: www.osservatoriopsicologia.com
Nicola Boccola si occupa di psicologia clinica, per adolescenti e adulti, e psicologia della comunicazione. Collabora a CTU e CTP per i Tribunali di Roma e Velletri con la somministrazione del Test di Rorschach, che insegna in corsi di formazione, e degli altri principali test psicologici in ambito giuridico. Nel 2009 ha cooperato con il Refugee Council di Birmingham nel ruolo di coach per giovani rifugiati politici. Dal 2010 è socio di Studio HFC, per cui dirige l’area clinica e comunicazione. Collabora come freelance per il Fatto Quotidiano; ha creato il weblog di psicologia e società contemporanea Blog Xaver. È CdM della cattedra di Psicologia della Pubblicità dell’Università di Cassino.
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