Non è possibile ricorrere in Cassazione contro il provvedimento che statuisce sulla decadenza della potestà genitoriale.
L’art. 330 del cod. civ. prevede che in caso di violazione o di abuso dei poteri inerenti la potestà da parte di un genitore, in presenza di un grave pregiudizio per la prole, il Tribunale può dichiarare decaduto dalla potestà il genitore.
In presenza di gravi motivi può essere disposto l’allontanamento dei minori dalla residenza familiare o l’allontanamento del genitore o del convivente che compia maltrattamenti o abusi.
La competenza ad emanare questo tipo di provvedimento è attribuita al Tribunale per i Minorenni ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., e la domanda può essere proposta dall’altro genitore, dai parenti e dal P.M. Il giudizio si svolge nelle forme del rito camerale di cui agli art. 737 e ss c.p.c. e si conclude con un decreto motivato.
Il provvedimento emesso dal Tribunale è reclamabile in Corte di Appello che decide in forma analoga.
La sentenza in commento affronta ancora una volta il tema della ricorribilità in Cassazione, per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost., dei provvedimenti che non hanno la forma di sentenza.
La Corte Suprema si è trovata a esaminare il caso di un padre separato, al quale il Tribunale aveva tolto la potestà sui figli minori allontanandoli dalla residenza paterna e ponendo il nucleo familiare sotto la sorveglianza dei servizi sociali, che avrebbero regolato tempi e modalità di visita con i genitori, in attesa di trovare una famiglia affidataria per i figli.
Il padre aveva proposto Reclamo alla Corte di Appello competente, lamentando che la decisione presa dal Tribunale, oltre ad essere errata, avrebbe leso lo sviluppo emotivo dei minori.
In tale sede anche il curatore dei figli minori aveva richiesto la riforma del provvedimento, nel senso di trasformare la decadenza in “sospensione” della potestà genitoriale. La Corte aveva rigettato entrambi i reclami sulla base delle risultanze acquisite al processo ed in particolare delle perizie psicologiche, dalle quali era emersa l’inidoneità genitoriale del padre.
Tra le varie condotte accertate, era emerso condizionamento, soprattutto nei confronti del figlio maggiore, mirato a denigrare e distruggere la figura materna (rea di aver intrattenuto una relazione extraconiugale) agli occhi del figlio, privandolo di fatto del suo diritto alla bi genitorialità.
Nel merito, il provvedimento della Corte d’Appello è particolarmente severo, poiché in sede di separazione il Giudice aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori con collocamento degli stessi presso l’abitazione del padre, visto che la madre aveva dichiarato di non poterli tenere con se. Il Tribunale per i Minorenni prima e la Corte d’Appello poi, hanno disposto il massimo provvedimento limitativo della potestà genitoriale, dichiarando, però, esplicitamente la non definitività del provvedimento in previsione del recupero delle capacità parentali di uno o di entrambi i genitori.
La Suprema Corte ha ancora una volta confermato le precedenti decisioni in materia (Cass. Civ. n. 14091/2009 e Cass. Civ. 11756/2010), ritenendo il decreto motivato non suscettibile di assumere il valore di giudicato e di ottenere la stabilità propria di una sentenza. Ciò, non solo perché espressamente dichiarato dal giudice dell’appello, ma perché questo tipo di provvedimento è privo del requisito della decisorietà, ossia non è idoneo a risolvere una controversia su diritti soggettivi o status, perché revocabile e modificabile in ogni momento, per motivi originari e sopravvenuti. E’ vero che il provvedimento può riguardare un diritto di rango primario come quello collegato alla potestà dei genitori, ma la Corte ritiene preminente la tutela dei minori.
Inoltre un diverso regime di impugnazione non consentirebbe un’eventuale revisione per mutamento delle condizioni, nelle more del giudizio di cassazione, quindi comporterebbe una minore garanzia per la prole.
Nonostante tale orientamento, di recente (Cass. Civ. n. 23032/2009 e n. 23411/2009) è stata ammessa la ricorribilità in Cassazione per violazione di legge, dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 317 bis c.c. in sede di reclamo, riguardanti l’affidamento e il mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio.
La differenza tra i due procedimenti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, starebbe nel fatto che i primi mirano a risolvere un conflitto tra genitori nell’esercitare la potestà, mentre i provvedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c. sono finalizzati all’esclusiva tutela del minore e prescindono dalle richieste dei genitori.
(Altalex, 24 settembre 2012. Nota di Giuseppina Vassallo)
cavallina-volpe
Forse quel padre non per cattiveria,ma per l.abitudine che spesso ce nel paesi: per la pentegolezza diceva quelle cose.
Prima bisognava capire perchè parlava male,puoi dare consigli sul danni di questo,puoi se lo stesso continuava,allora fare passi.
Così e razionale,se non fanno così allora sono ingiusti e vogliono solamente distruggere la famiglia.